Delitto Macchi, Stefano Binda condannato all'ergastolo

Cronaca

Pena massima per l'unico imputato per l'omicidio della studentessa, uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987. "Ho sempre chiesto il colpevole, non un colpevole a caso. Penso che sia lui", ha dichiarato Paola Bettoni, la mamma di Lidia, uscendo dall'aula

Ergastolo per Stefano Binda, unico imputato per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987. La sentenza è stata pronunciata dai giudici della Corte d'assise di Varese. Il pm Gemma Gualdi aveva richiesto la pena massima. Binda, che si è sempre dichiarato innocente, era un ex compagno di liceo della Macchi.

La condanna dopo 30 anni

La sentenza arriva a più di trent’anni dalla morte della ragazza, uccisa in un bosco a Cittiglio, nel Varesotto. Binda è stato indagato nell’estate del 2015 ed è stato arrestato il 15 gennaio 2016. Da allora è in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato nonostante i suoi avvocati ne abbiano per tre volte richiesto la scarcerazione. Il dibattimento è durato un anno e sono stati ascoltati decine di testimoni. Fra loro anche Patrizia Bianchi, amica dell’imputato ai tempi dell’omicidio, che ha riconosciuto nel testo di una lettera inviata da un anonimo alla famiglia della ragazza e pubblicata da un quotidiano locale nel 2014, proprio la grafia di Stefano Binda, permettendo così di riaprire il caso. In quella lettera, intitolata "In morte di un'amica", veniva confessato il delitto. I difensori di Binda nel corso del dibattimento avevano presentato i risultati di un esame calligrafico secondo il quale la scrittura dell'imputato non sarebbe stata compatibile con quella dell'autore dei versi anonimi.

La sparizione e l'omicidio di Lidia

La ragazza, appena ventenne, scomparve il 5 gennaio 1987, dopo aver fatto visita a un'amica ricoverata in ospedale a Cittiglio, nel Varesotto. Il cadavere fu trovato due giorni dopo, il 7 gennaio, in un bosco non lontano dall'ospedale, all'epoca frequentato da tossicodipendenti. Nel 2013 l'inchiesta della Procura di Varese rimase 'congelata' per anni. Nel 2016 la svolta con l'arresto di Stefano Binda. Secondo le accuse, dopo aver costretto la ragazza ad un rapporto sessuale la colpì a morte in quanto "considerata causa di un rapporto vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso". Tradimento, si legge nel capo d' imputazione, "da purificarsi con la morte". Poi avrebbe scritto un componimento anonimo, “In morte di un'amica”, inviato alla famiglia Macchi il giorno dei funerali della ragazza, con particolari che secondo gli inquirenti solo l'assassino poteva conoscere. All'epoca dei fatti, Stefano Binda era tossicodipendente e studiava filosofia.

Le dichiarazioni dopo la sentenza

"Ho sempre chiesto il colpevole, non un colpevole a caso. Dopo quello che è venuto fuori durante il processo, penso che sia lui. Spero si siano chiarite un po' le cose, perché una ragazza come Lidia non poteva morire in questo modo", ha detto Paola Bettoni, la mamma di Lidia, appena uscita dall’aula. "Aspettiamo la motivazione per capire che ricostruzione ha dato la Corte. Direi che resta la sofferenza di una persona che non c'è più e quella di una persona condannata al carcere a vita, sebbene in forma non definitiva. Però ritengo che questo momento fosse doveroso per Lidia", ha dichiarato l'avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, dopo la sentenza.

"Siamo convinti che la soluzione adottata sia ingiusta", invece il primo commento dell'avvocato Sergio Martelli, difensore insieme al Patrizia Esposito di Stefano Binda, "sentenza inaspettata anche se, trattandosi di un processo mediatico che ha fatto la storia di un tribunale, sapevo che il peso sarebbe stato notevole, non so poi se questo ha influito".

Cronaca: i più letti