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Milano, Formigoni condannato per diffamazione ai danni dei Radicali

Cronaca

I fatti risalgono al 2010, quando nell’ambito delle elezioni regionali l’ex governatore della Lombardia accusò il movimento politico di aver manipolato e sottratto alcuni certificati elettorali. La Cassazione: “Accuse gravi e consapevolmente false”

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È diventata definitiva la condanna inflitta dai giudici milanesi al senatore di Ap Roberto Formigoni per diffamazione aggravata ai danni di esponenti dei Radicali, tra cui Marco Cappato. I fatti risalgono al 2010, anno delle elezioni regionali che videro l’ex esponente di Ncd diventare governatore della Lombardia per la quarta volta.

La vicenda delle liste elettorali

Il processo riguardava le dichiarazioni che Formigoni aveva rilasciato ad alcuni quotidiani in occasione della presentazione delle liste per le elezioni affermando che vi era stata una "macchinazione - si legge nella sentenza depositata oggi dalla Suprema Corte - ordita allo scopo di escludere dalla competizione elettorale il centro destra". In particolare, secondo l’ex governatore ai Radicali "erano state consegnate le liste di centro destra ed avevano avuto la possibilità di manipolarle, essendo stati lasciati soli per 12 ore perché non c'era nessuno della parte politica interessata a controllarli e 51 certificati elettorali, segnalati ad una prima verifica, dopo la visita dei radicali, non c'erano più".

Cassazione ha rigettato il ricorso

La condanna inflitta a Formigoni è diventata definitiva dopo che la quinta sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa di Formigoni contro la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Milano il 25 ottobre del 2016, quando l'attuale senatore di Ap era stato condannato a una multa di 900 euro e a versare un risarcimento danni alle parti offese di 75mila euro.

“Radicali non furono lasciati soli”

Secondo la Cassazione, anche se non fu garantita la presenza di esponenti della lista “Per la Lombardia” o di altre liste, “è comunque falso che essi furono lasciati soli e senza alcun controllo con gli atti di presentazione delle liste. Inoltre, aggiunge ancora la Corte, "può darsi che le espressioni offensive contenute nelle interviste rilasciate dal ricorrente fossero indirizzate, nelle intenzioni di costui, all'Ufficio centrale regionale, ma certamente avevano come immediati destinatari gli esponenti del partito radicale, accusati di manipolare le schede di autenticazione e di averne sottratte alcune".

“Accuse gravi e totalmente false”

Inoltre, secondo la Suprema Corte "la denigrazione dell'avversario politico è passata attraverso l'attribuzione di condotte false e di rilevanza penale” e “non ci troviamo di fronte all'espressione di opinioni o critiche o alla strumentalizzazione, a fini politici, di un fatto vero nel suo nucleo essenziale, bensì di fronte ad accuse gravi, la manipolazione e la sottrazione di schede allegate alla presentazione delle liste, totalmente e consapevolmente false rivolte ad un avversario politico".