La scuola elementare dove il pc non è più un tabù
CronacaUn anno con il laptop sui banchi, collegati alla lavagna interattiva e a postazioni touch. I bimbi di una terza e quarta elementare di Montelupo Fiorentino raccontano l’esperimento che li ha coinvolti. Ora non possono più fare a meno del nuovo metodo
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di Eva Perasso
A giugno 2010 studenti e maestre di tre classi di una scuola elementare della cintura fiorentina, la Baccio da Montelupo di Montelupo Fiorentino, si sono imbarcati in una nuova avventura didattica, sociale e tecnologica. Hanno infatti deciso di fare da cavie a una ricerca qualitativa sul rapporto tra tecnologia, apprendimento e socialità già nella scuola elementare, il progetto Ardesia Tech del ministero dell’Istruzione. Da un anno a questa parte, ogni giorno le lezioni prevedono che gli esercizi vengano svolti sul proprio laptop personale (ogni bambino ne ha uno), collegato in una rete comune a tutta l’aula per scambiarsi materiali con i compagni e connesso a internet, nonché alla LIM, la lavagna interattiva e multimediale su cui mostrare la lezione e fare i compiti tutti insieme. Per lavorare poi ogni classe ha a disposizione anche una postazione touch, una sorta di banco interattivo multimediale su cui giocare e lavorare in gruppo. Dopo un inizio e un rodaggio con qualche difficoltà di ambientamento, ora studenti e insegnanti – così come i genitori a casa – sono così entusiasti dei risultati raggiunti da temere di non poter continuare oltre, in caso la sperimentazione (e i fondi a questa connessi) dovesse finire.
VERSO L’AULA HI-TECH - Il progetto ha preso vita grazie all’aiuto di un gruppo di aziende tecnologiche che hanno fornito strumenti e supporto (SMART per le lavagne interattive e le postazioni touch con i software a questi connessi, Microsoft per i programmi, Intel per i Pc a misura di bimbo) e della collaborazione di una università (la Bicocca di Milano, con il Dipartimento di Scienze umane per la Formazione “Riccardo Massa” e il professor Paolo Ferri), oltre che di un’associazione per l’integrazione tecnologica dei disabili (ASPHI Onlus) e sotto il cappello di INDIRE-ANSAS, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica del ministero dell’Istruzione. L’obiettivo era di verificare in che modo si modificano i rapporti sociali e l’apprendimento dei ragazzi introducendo in aula la tecnologia a supporto delle lezioni.
Il passaggio dall’aula tradizionale all’aula hi-tech ha dato i suoi buoni frutti, soprattutto dal punto di vista sociale (un po’ a sfatare il mito che la tecnologia isoli le persone). I risultati della ricerca qualitativa confermano come in un nuovo ambiente in cui si impara in versione tech ci si sente meno soli, si collabora e si aiutano di più i compagni. Il gruppo insomma è più unito, soprattutto davanti alle difficoltà. Come racconta uno dei bambini di una classe coinvolta, “Ci parliamo di più: chiediamo aiuto un po’ a tutti, prima ai compagni, poi alle maestre”. Ma anche le insegnanti concordano, perché questa nuova esperienza (nonostante il gruppo delle maestre fosse già molto affiatato prima dell’esperimento) influisce positivamente sul clima di collaborazione tra loro, mettendo oltretutto le loro competenze davanti a una nuova sfida, quella dell’apprendimento tecnologico.
DALLA PARTE DEI BAMBINI – Sono loro, i “nativi digitali puri” descritti dal professor Paolo Ferri nel suo “Nativi digitali” a giovare maggiormente del nuovo approccio. Per i bambini dagli 0 ai 12 anni infatti, nessuna difficoltà nell’interagire con gli strumenti tecnologici, a differenza degli insegnanti e dei genitori, i cosiddetti “immigranti digitali”. Intanto, il solo “possedere” il proprio laptop ha instaurato negli alunni un forte senso di integrazione con il Pc, diventato il loro strumento personale di lavoro, un oggetto da fare proprio come l’astuccio o il diario, da portare a casa con orgoglio. E poi la tipologia di lavoro, a un anno di distanza dall’inizio della sperimentazione, ha migliorato le capacità di apprendimento dei piccoli studenti, che si mostrano più attenti, partecipi, curiosi, collaborativi anche con gli insegnanti.
SCUOLA TECH AI GENITORI – Portando il loro laptop a casa, i bambini continuano a sperimentare anche con i parenti, facendo loro scuola di tecnologia. Lo racconta uno dei piccoli partecipanti: “A casa faccio ricerche di immagini con la mamma. Babbo però una volta aveva la chiavetta con tanta musica, mi metteva la chiavetta mi facevano sentire le canzoni in rumeno e ci divertivamo, perché dicevano delle parole e io non sapevo il significato e babbo me le spiegava e mi sembrava buffo”. E anche i genitori si mostrano soddisfatti: 59 su 62 coinvolti nella sperimentazione hanno dichiarato che con questo progetto la scuola è migliore rispetto a prima, i figli studiano più volentieri, anche in casi problematici, come racconta una mamma ai ricercatori: “Questo progetto ha aiutato maggiormente mio figlio e i suoi problemi di lettura e scrittura, migliorando e stimolando il suo intelletto e la sua autostima”.
DALLA PARTE DELLA MAESTRA – Ovviamente il fulcro del progetto sono le insegnanti e la loro motivazione e volontà: pressate dal programma da svolgere, e alle prese con una nuova modalità nello stare in aula e nel preparare le lezioni, le maestre non nascondono le difficoltà soprattutto iniziali. Ma tutte ammettono che dopo la fatica, la soddisfazione è alta, e si sono create dinamiche completamente nuove in classe. Per esempio, è cambiato l’assetto classico insegnante-alunno: i bambini spesso si trovano a essere più competenti delle insegnanti e hanno assunto il ruolo di maestro, o hanno preso ruoli-guida all’interno dei gruppi di lavoro lasciando alle docenti solo un’attività di coordinamento.
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VERSO L’AULA HI-TECH - Il progetto ha preso vita grazie all’aiuto di un gruppo di aziende tecnologiche che hanno fornito strumenti e supporto (SMART per le lavagne interattive e le postazioni touch con i software a questi connessi, Microsoft per i programmi, Intel per i Pc a misura di bimbo) e della collaborazione di una università (la Bicocca di Milano, con il Dipartimento di Scienze umane per la Formazione “Riccardo Massa” e il professor Paolo Ferri), oltre che di un’associazione per l’integrazione tecnologica dei disabili (ASPHI Onlus) e sotto il cappello di INDIRE-ANSAS, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica del ministero dell’Istruzione. L’obiettivo era di verificare in che modo si modificano i rapporti sociali e l’apprendimento dei ragazzi introducendo in aula la tecnologia a supporto delle lezioni.
Il passaggio dall’aula tradizionale all’aula hi-tech ha dato i suoi buoni frutti, soprattutto dal punto di vista sociale (un po’ a sfatare il mito che la tecnologia isoli le persone). I risultati della ricerca qualitativa confermano come in un nuovo ambiente in cui si impara in versione tech ci si sente meno soli, si collabora e si aiutano di più i compagni. Il gruppo insomma è più unito, soprattutto davanti alle difficoltà. Come racconta uno dei bambini di una classe coinvolta, “Ci parliamo di più: chiediamo aiuto un po’ a tutti, prima ai compagni, poi alle maestre”. Ma anche le insegnanti concordano, perché questa nuova esperienza (nonostante il gruppo delle maestre fosse già molto affiatato prima dell’esperimento) influisce positivamente sul clima di collaborazione tra loro, mettendo oltretutto le loro competenze davanti a una nuova sfida, quella dell’apprendimento tecnologico.
DALLA PARTE DEI BAMBINI – Sono loro, i “nativi digitali puri” descritti dal professor Paolo Ferri nel suo “Nativi digitali” a giovare maggiormente del nuovo approccio. Per i bambini dagli 0 ai 12 anni infatti, nessuna difficoltà nell’interagire con gli strumenti tecnologici, a differenza degli insegnanti e dei genitori, i cosiddetti “immigranti digitali”. Intanto, il solo “possedere” il proprio laptop ha instaurato negli alunni un forte senso di integrazione con il Pc, diventato il loro strumento personale di lavoro, un oggetto da fare proprio come l’astuccio o il diario, da portare a casa con orgoglio. E poi la tipologia di lavoro, a un anno di distanza dall’inizio della sperimentazione, ha migliorato le capacità di apprendimento dei piccoli studenti, che si mostrano più attenti, partecipi, curiosi, collaborativi anche con gli insegnanti.
SCUOLA TECH AI GENITORI – Portando il loro laptop a casa, i bambini continuano a sperimentare anche con i parenti, facendo loro scuola di tecnologia. Lo racconta uno dei piccoli partecipanti: “A casa faccio ricerche di immagini con la mamma. Babbo però una volta aveva la chiavetta con tanta musica, mi metteva la chiavetta mi facevano sentire le canzoni in rumeno e ci divertivamo, perché dicevano delle parole e io non sapevo il significato e babbo me le spiegava e mi sembrava buffo”. E anche i genitori si mostrano soddisfatti: 59 su 62 coinvolti nella sperimentazione hanno dichiarato che con questo progetto la scuola è migliore rispetto a prima, i figli studiano più volentieri, anche in casi problematici, come racconta una mamma ai ricercatori: “Questo progetto ha aiutato maggiormente mio figlio e i suoi problemi di lettura e scrittura, migliorando e stimolando il suo intelletto e la sua autostima”.
DALLA PARTE DELLA MAESTRA – Ovviamente il fulcro del progetto sono le insegnanti e la loro motivazione e volontà: pressate dal programma da svolgere, e alle prese con una nuova modalità nello stare in aula e nel preparare le lezioni, le maestre non nascondono le difficoltà soprattutto iniziali. Ma tutte ammettono che dopo la fatica, la soddisfazione è alta, e si sono create dinamiche completamente nuove in classe. Per esempio, è cambiato l’assetto classico insegnante-alunno: i bambini spesso si trovano a essere più competenti delle insegnanti e hanno assunto il ruolo di maestro, o hanno preso ruoli-guida all’interno dei gruppi di lavoro lasciando alle docenti solo un’attività di coordinamento.