La Nato non ferma i raid aerei verso la Libia. Nella cittadella militare i decolli di jet militari si susseguono, come nella guerra del Golfo. Attorno, la campagna siciliana, tra agrumeti, scommesse, contraddizioni. IL REPORTAGE
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di Alessandro Puglia
Dalla pista di atterraggio anche il sole è ormai sceso. Due elicotteri Apache sorvolano un cielo dalle mille sfumature di rosso. Un conducente a bordo di una vecchia Seat abbassa il finestrino: “Ah, na divittemu chi disgrazi di l’autri?”, (ci divertiamo con le disgrazie degli altri) e poi scappa, quasi volendo sfidare i reporter che cercano di filmare i decolli dei jet militari. Il suo dialetto appartiene a una Sicilia arcaica. Benvenuti a Sigonella, dove dal 18 marzo i raid aerei per la Libia non sono mai terminati.
Ai boati degli F-16 danesi, i primi a partire per la missione, si aggiunge il rumore, anche questo assordante, dei ferri di cavallo. Qui le corse clandestine sono un appuntamento consolidato, soprattutto nel fine settimana. I cavalli vengono trascinati dai camion con delle corde. Gettati in pista. Frustati e cronometrati. Dietro una fila di gente che li rincorre. Ragazzetti con i loro genitori, fan delle scommesse dal volto sudato. Molti si divertono, pochi fanno soldi con un business illegale, ma mai stroncato.
Una rete metallica elettrificata divide le due piste parallele, i cavalli da una parte, i caccia dall’altra, nel mezzo della campagna siciliana, con i suoi alberi d’eucalipto che servono ai cameraman più audaci per nascondersi dalla polizia militare americana pronta a identificarli. Le telecamere sono posizionate tra fili d’erba e margherite gialle.
Questa è terra di contadini: le arance crescono accanto ai radar della marina americana. La base militare di Sigonella è spuntata in questa valle di agrumeti, a 16 chilometri da Catania, dopo la richiesta della U.S. Navy alla Nato di disporre di una base in Sicilia. Nel 1959 era già operativa.
Lo spettacolo di decolli e atterraggi, con il circo mediatico che lo accompagna, è seguito con perplessità da qualche “sfacinnatu”, come chiamano da queste parti chi sta senza niente da fare, e da una cinquantina di mucche lasciate allo stato brado, intimorite dal trambusto e dal via vai di gente come non se ne vedeva da anni. Gli ultimi raid aerei da Sigonella risalgono alla Guerra del Golfo del ’91 (si contarono 12mila decolli) e quella del Kosovo nel ’99.
Nella memoria dei più il nome di questa base è legato agli eventi del 10 ottobre 1985, quando carabinieri italiani e militari americani si trovarono gli uni di fronte agli altri, con le armi puntate, accerchiando il boeing egiziano che trasportava i sequestratori dell’Achille Lauro. Fu una delle più controverse mediazioni diplomatiche tra governo italiano e americano, dopo l’uccisione a bordo della nave di Leo Klinghofer, turista statunitense di religione ebraica in sedia a rotelle.
Sede della Sesta Flotta della marina americana e del 41esimo stormo dell’Aeronautica militare italiana, Sigonella è popolata da 5mila uomini in divisa che vivono con le loro famiglie. Una cittadella seconda solo a Aviano, la più importante dal punto di vista strategico nel Mediterraneo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Hub of Med”. Alcuni hanno scelto i residence, come quello degli Ulivi, non molto distanti da quello degli Aranci di Mineo dove sono stati ospitati gli immigrati approdati a Lampedusa con il sogno dell’asilo politico. Altri militari preferiscono vivere in base: a pochi passi dai container, piccoli centri di commerciali, spazi per giocare a bowling o pallacanestro. Le ragazze della Sigonella Jaguars, squadra femminile di baseball di terza divisione, si allenano nei campi davanti alle villette a schiera. Al rombo di jet militari sono abituate.
Dalla pista di atterraggio gli C-17, enormi velivoli per il trasporto d’armi, si posizionano per il decollo. Gli F-15 e gli F-18 canadesi e norvegesi, i Berguet Atlatntic, i sontuosi Global Howk, droni neri senza pilota: dal 2003 Sigonella è la base di spionaggio e sorveglianza del Mediterraneo più attrezzata. Gli ultimi caccia ad apparire sono 8 Jas 39 Gripen svedesi, arrivati via Ungheria, in quella che per gli scandinavi è la seconda missione militare dopo 50 anni.
Oggi a Sigonella è l’alba di una nuova odissea. L’Etna sullo sfondo giganteggia tra presente e passato. Le nubi di fumo non cancellano i ricordi. E la notte, quando le luci rosse degli F-16 si illuminano nel cielo, dai balconi delle case attorno alla piana di Catania si avverte la consapevolezza che quegli aerei non sono cacciatori di stelle.
Guarda tutti i video sulla guerra in Libia:
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Ai boati degli F-16 danesi, i primi a partire per la missione, si aggiunge il rumore, anche questo assordante, dei ferri di cavallo. Qui le corse clandestine sono un appuntamento consolidato, soprattutto nel fine settimana. I cavalli vengono trascinati dai camion con delle corde. Gettati in pista. Frustati e cronometrati. Dietro una fila di gente che li rincorre. Ragazzetti con i loro genitori, fan delle scommesse dal volto sudato. Molti si divertono, pochi fanno soldi con un business illegale, ma mai stroncato.
Una rete metallica elettrificata divide le due piste parallele, i cavalli da una parte, i caccia dall’altra, nel mezzo della campagna siciliana, con i suoi alberi d’eucalipto che servono ai cameraman più audaci per nascondersi dalla polizia militare americana pronta a identificarli. Le telecamere sono posizionate tra fili d’erba e margherite gialle.
Questa è terra di contadini: le arance crescono accanto ai radar della marina americana. La base militare di Sigonella è spuntata in questa valle di agrumeti, a 16 chilometri da Catania, dopo la richiesta della U.S. Navy alla Nato di disporre di una base in Sicilia. Nel 1959 era già operativa.
Lo spettacolo di decolli e atterraggi, con il circo mediatico che lo accompagna, è seguito con perplessità da qualche “sfacinnatu”, come chiamano da queste parti chi sta senza niente da fare, e da una cinquantina di mucche lasciate allo stato brado, intimorite dal trambusto e dal via vai di gente come non se ne vedeva da anni. Gli ultimi raid aerei da Sigonella risalgono alla Guerra del Golfo del ’91 (si contarono 12mila decolli) e quella del Kosovo nel ’99.
Nella memoria dei più il nome di questa base è legato agli eventi del 10 ottobre 1985, quando carabinieri italiani e militari americani si trovarono gli uni di fronte agli altri, con le armi puntate, accerchiando il boeing egiziano che trasportava i sequestratori dell’Achille Lauro. Fu una delle più controverse mediazioni diplomatiche tra governo italiano e americano, dopo l’uccisione a bordo della nave di Leo Klinghofer, turista statunitense di religione ebraica in sedia a rotelle.
Sede della Sesta Flotta della marina americana e del 41esimo stormo dell’Aeronautica militare italiana, Sigonella è popolata da 5mila uomini in divisa che vivono con le loro famiglie. Una cittadella seconda solo a Aviano, la più importante dal punto di vista strategico nel Mediterraneo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Hub of Med”. Alcuni hanno scelto i residence, come quello degli Ulivi, non molto distanti da quello degli Aranci di Mineo dove sono stati ospitati gli immigrati approdati a Lampedusa con il sogno dell’asilo politico. Altri militari preferiscono vivere in base: a pochi passi dai container, piccoli centri di commerciali, spazi per giocare a bowling o pallacanestro. Le ragazze della Sigonella Jaguars, squadra femminile di baseball di terza divisione, si allenano nei campi davanti alle villette a schiera. Al rombo di jet militari sono abituate.
Dalla pista di atterraggio gli C-17, enormi velivoli per il trasporto d’armi, si posizionano per il decollo. Gli F-15 e gli F-18 canadesi e norvegesi, i Berguet Atlatntic, i sontuosi Global Howk, droni neri senza pilota: dal 2003 Sigonella è la base di spionaggio e sorveglianza del Mediterraneo più attrezzata. Gli ultimi caccia ad apparire sono 8 Jas 39 Gripen svedesi, arrivati via Ungheria, in quella che per gli scandinavi è la seconda missione militare dopo 50 anni.
Oggi a Sigonella è l’alba di una nuova odissea. L’Etna sullo sfondo giganteggia tra presente e passato. Le nubi di fumo non cancellano i ricordi. E la notte, quando le luci rosse degli F-16 si illuminano nel cielo, dai balconi delle case attorno alla piana di Catania si avverte la consapevolezza che quegli aerei non sono cacciatori di stelle.
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