Le gemelle Schepp e l'ombra del ricordo dei fratelli Brigida

Cronaca
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Armandino, Laura e Luciana, da 12 a 2 anni. Scomparsi e ricercati per mesi prima che il padre facesse ritrovare i corpi. L'uomo sconta ancora l'ergastolo mentre l'Italia si confronta di nuovo con un dramma che 15 anni fa sembrava irripetibile

di Chiara Ribichini

“Le ho uccise io. Non le rivedrai più”. Così, in una lettera indirizzata alla moglie poco prima di togliersi la vita gettandosi sotto un treno a Cerignola, in provincia di Foggia, Matthias Schepp ha cancellato molte delle speranze di ritrovare in vita Alessia e Livia, le gemelline svizzere di sei anni di cui si sono perse le tracce il 1 febbraio scorso. “Le bambine devono vedere più spesso papà” aveva scritto in un sms indirizzato ad Irina Lucidi il 30 gennaio. Una vicenda terribile che racconta di unioni fallite, di figli contesi, di uomini fragili e violenti e di vendette familiari. Di bimbi amati, persi, usati come un’arma per far soffrire a una donna il dolore più grande di tutti. Uno shock che unisce l’Italia alla Svizzera e alla Francia e che rimbalza su tutti i giornali europei. Una storia che fa tornare alla luce il ricordo di un altro fatto di cronaca che più di 15 anni fa ha sconvolto l’opinione pubblica. Era il 20 aprile del 1995 quando, nelle campagne di Cerveteri (Roma), vennero ritrovati i corpi di Armandino, Laura e Luciana. Avevano, rispettivamente, 12, 7 e 2 anni e mezzo. Era stato il padre, Tullio Brigida, un ex operaio con qualche precedente penale, ad indicare al giudice il luogo in cui li aveva seppelliti. Li aveva uccisi collegando il tubo di scarico del gas alla macchina.

“Sembra di rivivere quei momenti” dice Angelo Picchioni che all’epoca dei fatti era l’avvocato di parte civile e che, ancora oggi, è vicino a Stefania Adami, la ex moglie di Brigida. Una donna che resta chiusa nel suo dolore. “La storia delle gemelline le ha riaperto una ferita” confessa Picchioni. “In entrambi i casi all’origine del cortocircuito mentale c’è il distacco dai figli conseguente a una separazione. Con una differenza: che Tullio Brigida non si è suicidato”.
Tutto ha inizio il 18 dicembre del 1993. “Brigida aveva appena perso la patria potestà, si avvicinava il Natale e voleva trascorrere una giornata con i figli. Aveva insistito tanto e Stefania alla fine aveva ceduto. Non poteva immaginare che se li sarebbe portati via per sempre” ricostruisce l’avvocato. Da quel momento si perdono le tracce dei bambini e iniziano 17 mesi di speranze, ricerche, depistaggi, false verità. “Brigida, arrestato subito con l’accusa di sequestro, ha tenuto tutta l’Italia con il fiato sospeso per un anno e mezzo” ricorda Picchioni. “Ha dato mille versioni, ha fatto credere che dietro il rapimento dei figli ci potesse essere un dispetto della ‘ndrangheta. Ha portato gli investigatori persino in Australia ma alla fine la verità era dietro l’angolo ed era la più terribile”.

Così, nella primavera del 1995 Tullio Brigida confessa: i piccoli sono morti, i loro corpi sono seppelliti in un terreno di via Fosso del Cerqueto, nei pressi di Cerveteri (Roma). Insiste però per una morte accidentale. Ma le perizie medico legali stabiliranno che ad ucciderli è stato lui. Li ha chiusi nella sua automobile e ha riempito l’abitacolo con i gas di scarico attraverso un tubo. Era la notte del 4 gennaio del 1994. “Vi ho punito” ha detto durante un’udienza rivolgendosi alla ex moglie e alla sua famiglia, come ricorda l’avvocato Picchioni. Tre anni dopo il ritrovamento dei corpi di Armandino, Laura e Lucia, per Tullio Brigida arriva l’ultima sentenza: il 26 gennaio del 1998 è condannato in via definitiva all’ergastolo per omicidio volontario aggravato. Nessuna attenuante, nessuna infermità mentale. “Brigida è ancora in carcere. So che è stato trasferito ma non ne so di più” dice l’avvocato Luigi Greco, che lo ha difeso durante il processo d’appello e in Cassazione.

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