E' stato diffuso il messaggio ai sacerdoti, approvato dai Vescovi italiani al termine dei lavori dell'Assemblea generale. Nel testo i presuli si sono detti "fieri" dei propri presbiteri, travolti indistantamente dal recente scandalo degli abusi sui minori
A meno di due settimane dalla conclusione dell'Anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI, il 16 giugno 2009, in occasione del 150esimo anniversario della morte del santo Curato d'Ars, la Cei ha diffuso il "Messaggio dei Vescovi italiani ai sacerdoti che operano in Italia". Approvato il 28 maggio al termine dei lavori dell'Assemblea generale, il testo si compone di tre parti ed è stato pensato soprattutto in riferimento allo scandalo pedofilia, che ha travolto la Chiesa cattolica durante l'anno. Nel messaggio, infatti, i presuli italiani hanno avvertito il dovere di ringraziare quei numerosi sacerdoti, che hanno operato in piena coerenza con gli obblighi assunti: "Noi siamo fieri di voi! Il bene che offrite alle nostre comunità nell’esercizio ordinario del ministero è incalcolabile e, insieme ai fedeli, noi ve ne siamo grati". I vescovi hanno parlato espressamente di "accuse generalizzate, che hanno prodotto amarezza e dolore e gettato il sospetto su tutti".
Al contempo il testo ha rivolto un invito a "perseverare nel cammino di conversione e di penitenza", dal momento che "la vocazione alla santità ci spinge a non rassegnarci alle fragilità e al peccato". Infine i Vescovi hanno rivolto "una parola di incoraggiamento", scaturente dalla consapevolezza che l'ordinazione presbiterale "non ci mette al sicuro dagli attacchi del maligno né ci rende impeccabili, ma ci assicura che il male non avrà mai l'ultima parola, perché chi si fa carico del proprio peccato può sempre rialzarsi e riprendere il cammino".
Al contempo il testo ha rivolto un invito a "perseverare nel cammino di conversione e di penitenza", dal momento che "la vocazione alla santità ci spinge a non rassegnarci alle fragilità e al peccato". Infine i Vescovi hanno rivolto "una parola di incoraggiamento", scaturente dalla consapevolezza che l'ordinazione presbiterale "non ci mette al sicuro dagli attacchi del maligno né ci rende impeccabili, ma ci assicura che il male non avrà mai l'ultima parola, perché chi si fa carico del proprio peccato può sempre rialzarsi e riprendere il cammino".