L'amore violento in pièce di Pornasio

Sardegna
@ANSA

Su palco S.Eulalia giudici e avvocati per "spettacolo manifesto"

 Uno "spettacolo manifesto" contro "l'amore" che diventa violenza. E sul percorso di rinascita di una donna che si risveglia a una verità: quel giardino dorato era solo una prigione da cui scappare, per mettersi in salvo. Un numeroso pubblico ha applaudito al Teatro di Sant'Eulalia a Cagliari "Quale amore", ispirato a un fatto processuale vero. In scena anche giudici del Tribunale di Cagliari, giuristi, avvocati prestati al teatro. Hanno deciso di esporsi per un dovere morale, di portare la loro testimonianza civile e tenere accesi i riflettori sul tema della violenza di genere.

La pièce, regia di Giuliano Pornasio, restituisce un dramma nascosto tra le mura domestiche insieme alla forza di una donna che trova il coraggio di portarlo all'esterno e denunciare il marito. Si apre il sipario, è in corso un processo. A confronto due verità. Quella di Daniela (Daniela Mei), passa attraverso il dolore di una donna spezzata, martoriata. Quella di lui (Carlo Soro) filtrata da una personalità narcisistica. Che indossa una maschera per continuare a negarla. Il racconto si sviluppa su due piani narrativi. Dalla dimensione della realtà si passa a quella psicologico -onirica, del ricordo. Attraverso l'interrogatorio vengono riportati alla memoria, come flashback, frammenti dolorosi di vita di coppia tra abusi, maltrattamenti, minacce. "Proiettati" su un fondale quasi in un gioco di dissolvenze incrociate create dalle luci. C'è una violenza fisica da raccontare e una psicologica ancora più difficile da documentare. Come le ferite che imprigionano l'anima. A portare una fiamma di calore in un deserto fatto di solitudine e paura c 'è la figura dell'amica, interpretata da Stefania Faedda.

Completano il cast Lucia Perra, Francesca Pani, Massimo Ledda, Alessandro Castello, Gianmario Demuro, Antonio Siotto Pintor. Il regista lascia allo spettatore la possibilità di immaginare l'esito del processo, con un'ipotesi di lieto fine. "Un piccolo tentativo incidere nella società per farla evolvere - spiega il regista - e offrire uno strumento per comprendere un fenomeno spesso difficile da tradurre nel linguaggio giudiziario".
   

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