Imprenditrice accusata per 128mila dispositivi 'contraffatti'
Un presunto "giro" di camici contraffatti, confezionati in modo più scadente e forniti all'azienda ospedaliera di Parma, che poi aveva il compito di distribuirli tra le Ausl della regione in periodo di piena emergenza Covid, nella primavera del 2020. E' l'ipotesi al centro di un'inchiesta della Procura di Modena, approdata in udienza preliminare davanti al Gup Antonella Pini Bentivoglio, con un'imprenditrice, titolare di un'azienda della provincia, accusata di truffa, frode nella pubbliche forniture e vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Tutto è partito dalla denuncia di un'altra azienda, del Bolognese, produttrice di questo tipo di articoli e che era venuta a sapere della presenza, in diversi ospedali della regione, di camici con il proprio marchio, ma di qualità bassa.
Le indagini hanno portato al sequestro di 128mila camici monouso, all'interno di una partita di quattro ordini e oltre 215mila dispositivi forniti all'ospedale di Parma.
Apparentemente prodotti dall'azienda del Bolognese, in realtà sono risultati avere un'etichetta contraffatta e confezionati in modo più scadente degli originali: maniche e fasce più corte, a detrimento della vestibilità e un tessuto meno spesso così da essere meno idrorepellenti. Gli altri, circa 80mila, erano invece autentici. Con questa truffa, aggravata perché commessa ai danni di un ente pubblico, la Regione, l'azienda modenese avrebbe, secondo l'accusa della pm Claudia Natalini, ottenuto dalla vendita un ingiusto profitto di 1,1 milioni di euro.
L'azienda che ha fatto la denuncia si è costituita parte civile con l'avvocato Francesco Gaspardini, mentre l'imputata è difesa dagli avvocati Cosimo Zaccaria e Tommaso Rotella. Il giudice ha disposto un incidente probatorio per far valutare da un perito la qualità dei camici in questione.