Paviglianiti libero per la seconda volta per fine pena
Per la seconda volta in due mesi il boss della 'ndrangheta Domenico Paviglianiti viene scarcerato per fine pena. Catturato in Spagna nel 1996, nei mesi scorsi l'ergastolo è stato sostituito con 30 anni e ad agosto è stato liberato, ma in meno di 48 ore arrestato su ordine della Procura di Bologna per un diverso conteggio della pena. Il 18 ottobre un Gip, riporta il Corriere della Sera, ha accolto un'istanza della difesa disponendo la liberazione. Ma la Procura bolognese, apprende l'ANSA, ha già fatto ricorso in Cassazione.
Paviglianiti, 58 anni, pluriomicida e 168 anni di somma aritmetica tra le sentenze di condanna, era considerato uno dei pezzi da novanta dei clan che da Reggio Calabria avevano esteso le loro mire in Lombardia e nel Nord-Ovest. Da tempo è al centro di una complessa questione procedurale per decidere quanto debba scontare in carcere, una vicenda che lo ha portato a uscire una prima volta dal penitenziario di Novara a inizio agosto, ed essere subito ripreso dai carabinieri quando ancora si trovava nella città piemontese. I suoi difensori, gli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori, avevano rilevato come a febbraio 2019, dopo 23 anni, tra indulto, liberazione anticipata, era già scontata tutta la pena, nel frattempo commutata in 30 anni da un Gip di Bologna, Gianluca Petragnani Gelosi, a cui la Cassazione aveva affidato la competenza perché proprio a Bologna era stata pronunciata l'ultima sentenza passata in giudicato.
Ad agosto, dopo la scarcerazione da Novara, La Procura bolognese, però, aveva acquisito nuova documentazione e ritenendo che una delle sentenze, una condanna a 17 anni per associazione mafiosa, nel 2005, si riferisse a fatti avvenuti dopo l'estradizione dalla Spagna, avvenuta nel 1998, aveva fissato il fine pena nel 2027, ordinando subito il nuovo arresto di Paviglianiti. La difesa ha fatto quindi un nuovo ricorso e un altro Gip, Domenico Truppa, lo ha accolto, considerando la sentenza del 2005 già valutata nei conteggi precedenti. Ma secondo la Procura di Bologna questa valutazione è errata.
Nel ricorso per Cassazione firmato dal procuratore aggiunto Lucia Russo e dal pm Michele Martorelli si sottolinea come si sia appreso e documentato "inequivocabilmente" che una delle condanne citate dall'Autorità giudiziaria di Reggio Calabria nel provvedimento di cumulo del 2012 riguardasse "fatti consumati in epoca successiva all'avvenuta estradizione e addirittura mentre il detenuto si trovava in carcere". Si rende dunque necessario rideterminare la pena residua da scontare, adottando un criterio di calcolo diverso da quello del pm reggino. Inibire questa facoltà, secondo il ricorso, "costituisce scelta sorprendente" e in conflitto "con i principi e le norme in tema di esecuzione delle pene detentive".