'Ndrangheta: pentito, in Valle d'Aosta c'è da una vita

Valle D'Aosta

La 'ndrangheta in Valle d'Aosta "c'è da una vita". È quanto ha detto oggi Daniel Panarinfo, un collaboratore di giustizia, testimoniando nell'aula bunker delle Vallette a Torino - in collegamento video - al processo Geenna.
    "Bruno Nirta (una delle figure che compaiono nell'indagine - ndr) mi disse che ad Aosta esisteva una locale da molto tempo.
    'Da una vita' furono le parole che adoperò. So che i suoi parenti vi emigrarono negli anni Cinquanta o Sessanta". Panarinfo, che cominciò a collaborare con gli inquirenti nel 2016 dopo essere stato arrestato per una vicenda di droga, non è mai stato affiliato alla 'ndrangheta: si era però avvicinato agli ambienti dell'organizzazione e si accompagnava spesso a Bruno Nirta. "Mi è stato detto - ha riferito - che ad Aosta comandavano i Nirta e i Di Donato. Bruno e Giuseppe Nirta non potevano commettervi reati perché la sorveglianza nei loro confronti era stretta. Però avevano diversi appoggi. Il figlio di un esponente della Dia, una volta, informo' Giuseppe della presenza di una microspia nell'auto". Panarinfo, rispondendo alle domande del pm Stefano Castellano, ha accennato brevemente ad altre circostanze, come quella dei due kalashnikov Ak 47 di fabbricazione cinese che per qualche tempo furono nascosti ad Aosta. Poi ha parlato di un valdostano, originario di Catanzaro, che ha definito "autore di truffe colossali".
"Per proteggersi - ha detto - pagava i Nirta. Parecchi soldi per utilizzare il loro nome in caso di bisogno. Me lo disse Giuseppe. Una volta nascosero in un fusto, ad Aosta, banconote per 70/75 mila euro. Quando sorse un problema con un'altra famiglia, per colpa di uno schiaffo tra ragazzi, Giuseppe Nirta si fece avanti e la cosa si appianò". 

Di Donato, non condannatemi per il mio dialetto - "Ho già pagato per gli errori commessi in passato. Adesso devo essere condannato per la mia inflessione dialettale?". Si è rivolto così oggi ai giudici Marco Fabrizio Di Donato, una delle figure coinvolte nell'inchiesta Geenna sulla 'ndrangheta in Valle d'Aosta, nell'aula bunker delle Vallette a Torino, dove è stato interrogato nel corso del processo che si sta celebrando con il rito ordinario. Di Donato è giudicato con il rito abbreviato in un altro filone del procedimento. L'uomo ha respinto con decisione l'accusa di essere uno dei boss della 'locale' aostana, spiegando che le numerose contestazioni mosse dal pm Stefano Castellani sono interamente legate a equivoci o a errori di interpretazione anche di singoli termini, come per esempio "ambasciata": "non è una parola 'ndranghetista, è di uso comune", ha detto. Ad un certo punto il presidente, Eugenio Gramola, lo ha interrotto chiedendogli se "voi quando parlate fate solo pettegolezzi e pour parler?".

Nel corso dell'udienza di oggi è stato ascoltato come teste della difesa Andrea Carpentiere, vicesindaco di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria) dal 2011 al 2016, per rispondere a domande su Antonio Raso, il ristoratore valdostano che compare fra gli imputati. "E' originario del mio paese - ha affermato - e lo conosco fin da quando eravamo bambini, anche se non si può dire che fra di noi ci sia un'amicizia molto stretta. Ogni tanto torna in Calabria: è una persona gioiosa, affabile, scherzosa".
A Carpentiere il pm Castellani ha chiesto di chiarire un risvolto legato alla donazione di mobili dal Comune di Aosta a quello di San Giorgio Morgeto. Il materiale fu consegnato a proprie spese nel 2012 dall'allora assessore Marco Sorbara (ora imputato ad Aosta). Nel 2016 la Lega chiese delucidazioni in consiglio comunale. "Raso - ha raccontato Carpentiere - mi contattò dicendo che era sorta polemica politica assai ingiusta, e che era opportuna una lettera di ringraziamento da parte del nostro Comune. Io, nel corso di un comizio elettorale, feci presente che era stata una semplice donazione. Non so dire perché fu lui ad attivarsi". 

 


   

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