Perché, in Italia e in Europa, gli eventi estremi sono così frequenti?

Ambiente
Andrea Ceredani

Andrea Ceredani

Alluvioni, tornado, nubifragi, ondate di calore e valanghe. In tutta Europa l’inasprimento di alcune condizioni meteorologiche provoca morti e danni ingenti. Il nostro Paese è primo per numero di inondazioni, la Francia detiene il record di grandinate, mentre la Spagna è la regione più calda del continente. Non si tratta solo di maltempo o di emergenze isolate, perché le cause sono perlopiù da ricondurre all’azione umana. Ma quali sono?

Quando le acque hanno inondato Faenza per la terza volta in 16 mesi, gli sfollati alle prese con il fango ripetevano con rabbia che questa “non doveva ricapitare”. Ma nessuno ha potuto – né può adesso – rincuorarli con la promessa di un futuro più sicuro. Il perché lo spiegano i numeri: in un solo anno sull’Italia si sono abbattuti oltre 200 tornado e 1.000 nubifragi (dati Anbi), sommando vittime a un conteggio già drammatico. Secondo un monitoraggio Enea, dal 2003 al 2020, 378 persone hanno perso la vita nel nostro Paese a causa degli eventi estremi. Che, in Italia come in Europa, oggi sono più frequenti rispetto al passato. Ma perché?

La definizione

Una premessa è doverosa: non si tratta solo di maltempo né, tantomeno, di emergenze isolate. Quelli che nel 2023, secondo un calcolo di Legambiente, hanno tolto la vita a 31 persone sono definiti eventi meteorologici estremi. L’espressione, tutt’altro che giornalistica, ricorre in molta letteratura scientifica per descrivere inasprimenti, osservati a partire dagli anni ’50, di eventi meteorologici collegabili all’azione umana. Tradotto: alluvioni, nubifragi, valanghe, siccità e incendi. Per un totale in Italia, solo nello scorso anno, di quasi 400 episodi (Ispra).

Le regioni a rischio

A fare le spese di questi inasprimenti, sono alcune aree più di altre. L’Italia è il Paese in Europa con il più alto pericolo alluvionale. Quasi due milioni e mezzo di persone vivono in zone a elevato rischio di inondazione (dati del Rapporto sul dissesto idrogeologico, Ispra), accentuato soprattutto nelle regioni dove è maggiore il consumo di suolo.
La più bersagliata dalla grandine è la Francia, che conta oltre 1.500 grandinate abbondanti ogni anno che costano a Parigi quasi quattro miliardi di euro. La Spagna, invece, è il Paese dove le ondate di calore sono più lunghe. E dove le temperature sono più alte sia d’estate sia d’inverno. A luglio El Granado ha superato i 45 gradi mentre, a gennaio, Calles ha fatto segnare ben 30,7 gradi. La ricaduta sulla mortalità è gravissima: nella maggior parte delle regioni spagnole il caldo uccide ogni anno più di 40 persone ogni milione di residenti. Una quota raggiunta in Italia solo da poche province sulla costa tirrenica fra Lazio e Toscana (dati Agenzia europea per l’Ambiente).

Le cause: il surriscaldamento globale

Per tentare di porre un freno a questa scia di danni e vittime serve tornare alle cause, che riconducono – quasi tutte – alle azioni dell’uomo. In primis, è una questione di approvvigionamento energetico. Circa due terzi dell’energia elettrica a livello globale sono prodotti da fonti non rinnovabili (dati Ember). In altre parole, gas, petrolio e carbone vincono ancora sulle energie pulite.
Il risultato più evidente è che le temperature sono sempre più alte. Nel 2023, l’Europa era più calda di 2,3 gradi rispetto all’epoca preindustriale. Un record sul resto del mondo. E pure il Mediterraneo, oggi, si riscalda più velocemente degli oceani e degli altri mari, superando di un grado le temperature del 1960.
Naturalmente, non c’è da festeggiare se l’acqua d’agosto è più tiepida quando facciamo il bagno. Intanto, perché temperature più alte accrescono il rischio di incendi. In Italia, nel 2023 sono andati in fumo oltre 1.000 chilometri quadrati di boschi (Ispra). Peggio di noi, in Europa, fanno solo Spagna e Portogallo. In secondo luogo, perché è da un mare più caldo che a settembre sorgono le grandi nuvole che, dopo essersi spostate dall’Adriatico e dal Tirreno verso l’Appennino, danno vita ai nubifragi.

Le cause: il consumo di suolo

Nubifragio, però, non è sinonimo di alluvione. Se le piogge intense sono anche colpa del cambiamento climatico, la responsabilità delle inondazioni è perlopiù del consumo di suolo che impedisce a gran parte dell’acqua piovana di penetrare nelle falde. In Italia, la cementificazione del terreno ha fatto sparire nel 2022 un’area da 77 chilometri quadrati, circa il 10% in più dell’anno precedente. Un risultato poco incoraggiante in vista del 2030 quando, secondo l’agenda Onu, questa crescita – per ora costante – andrebbe azzerata.
Al momento, le regioni più interessate dall’impermeabilizzazione del terreno sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (Ispra), dove le conseguenze sono gravissime e le alluvioni hanno provocato, solo nel 2023, circa 20.000 sfollati.

I costi

Il prezzo più caro è quello pagato dalle vittime, già moltissime. L’Agenzia europea dell’Ambiente ha stimato tra gli 85.000 e i 145.000 cittadini europei uccisi negli ultimi 40 anni dagli eventi estremi. L’85% dei quali avrebbe perso la vita per le ondate di calore.
Ma è critico anche il fronte economico. Parliamo dei costi di risarcimento dei danni, della ricostruzione e della prevenzione da eventi estremi. Dal 1980, l’Europa ha speso una cifra che si aggira fra i 450 e i 520 miliardi di euro. A pagare il conto più caro sono Germania, Francia e Italia. La Svizzera, invece, è prima per spesa al chilometro quadrato: circa 200mila euro.
Senza frenare il surriscaldamento globale, se la temperatura media dovesse aumentare fino a 3 gradi dall’epoca preindustriale, l’Unione europea ogni anno sarebbe costretta a pagare cifre vicine ai 175 miliardi di euro: l’1,38% del Pil. L’Italia, assieme a 194 firmatari, si è impegnata con gli accordi di Parigi del 2015 a non superare la soglia di un grado e mezzo ma, per evitare di infrangere il trattato internazionale, serve agire in fretta.

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