Cop16, inizia in Colombia la conferenza sulla biodiversità: cos’è e cosa aspettarsi

Due settimane per salvare la biodiversità. O meglio: due settimane che condensano anni di negoziati. Dal 21 ottobre all’1 novembre la città di Cali, in Colombia, ospita la Cop16, cioè la sedicesima edizione della Conferenza delle Parti. Si tratta dell’appuntamento delle Nazioni Unite simile, nel nome e nella formula, ai vertici annuali dedicati al Clima. Ma si tiene ogni due anni e le discussioni si concentrano, appunto, sull’altra faccia del problema ambientale: la biodiversità. Ma cosa dobbiamo aspettarci? Alla vigilia della sua partenza per la Colombia ne abbiamo parlato con Carlo Fadda dell’organizzazione internazionale “Alliance of Biodiversity and CIAT”. Un esperto che da anni segue le Cop. Partiamo proprio dalle basi, perché è così importante occuparsi di biodiversità? Perché regola come funziona il mondo. Se tu raccogli un cucchiaino di suolo dalla terra, ci sono organismi che la cui somma totale è più grande della popolazione mondiale. E tutti questi organismi aiutano a crescere il nostro cibo. E questo è per la parte più piccola, quelli che noi non vediamo. E per quella più grande? Dall'altra parte dello spettro ci sono le foreste che producono l’ossigeno di cui noi abbiamo bisogno per respirare. Non sono tanti alberi uguali ma di specie diverse, ognuno con una funzione diversa di supporto, per esempio ad altre specie animali. Alla fine si crea un meccanismo in cui tra quella biodiversità nascosta nel sottosuolo e quella delle foreste esiste una connessione molto forte. Tutti i sistemi che permettono la vita sulla terra, in realtà hanno bisogno di biodiversità. Alla Cop16 arriviamo due anni dopo il vertice di Montreal in cui era stato raggiunto un accordo, definito da molti storico, per “arrestare e invertire” la perdita di biodiversità entro il 2030 e “ripristinare l'armonia con la natura” entro il 2050. Da dove si riparte? Dal nodo della questione finanziaria. I soldi per l'implementazione dell’accordo raggiunto alla Cop15. Ne servono di più e serve maggiore integrazione tra l’agenda biodiversità e quella del clima. Quali sono i rischi? Sicuramente quello di avere grandi obiettivi, grandi ambizioni e poca implementazione. Una delle lezioni che dovrebbe essere presa dal passato in questa Cop è di essere realisti. Magari un po’ meno ambiziosi, però poi cercare veramente di implementare quello che viene detto. E poi bisognerebbe dare maggiore importanza all'agricoltura che ha un impatto molto forte. L’Ue, che negozia come blocco unico, ha una posizione che grazie alla recente legge sul ripristino della natura è in linea con gli obiettivi internazionali. Gli Stati Uniti formalmente non fanno parte della convenzione. Da persona che vive a Nairobi, come vede invece le mosse del continente africano? Tende a essere molto più coeso e compatto, quindi cerca di negoziare una posizione in anticipo in modo tale da non farsi trovare sorpreso, anche perché i meccanismi sono terribili. A volte si fanno 48 ore di fila di negoziazione. Quindi magari l'Uganda, che manda due delegati perché non ha abbastanza risorse, deve fare turni di 24 ore per darsi il cambio e poi alla fine dice sì a qualunque cosa. L’Europa ne manda 50 che si danno il cambio ogni tre ore. Sono tutti freschi e quindi possiamo andare avanti ad oltranza. Gli Stati Uniti non fanno parte della convenzione, che ruolo giocano? Molto importante perché comunque danno contributi economici rilevanti pur non partecipando formalmente ai negoziati. Ha detto che bisognerebbe avvicinare l’agenda del clima e quella della biodiversità: è pensabile l’unificazione delle conferenze? Non succederà però è comunque importante che ci siano discussioni per cercare di avvicinare il più possibile i due temi che sono strettamente connessi.