La pesca industriale copre oltre la metà degli Oceani

Ambiente
I pescherecci superiori alle 300 tonnellate sono dotati di un sistema di identificazione (Getty Images)
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Uno studio pubblicato su "Science" ha monitorato l'attività dei grandi pescherecci dal 2012 a oggi, arrivando a calcolare la distanza percorsa dalla flotta mondiale, le ore di attività e l'energia consumata dalle imbarcazioni – LO SPECIALE UN MARE DA SALVARE

La flotta dedicata alla pesca industriale è arrivata a coprire il 55% della superficie mondiale degli Oceani: un'estensione pari a circa 200 milioni di chilometri quadrati, il quadruplo dello spazio dedicato sulla terra a pascoli e agricoltura.

La ricerca di Global Fishing Watch  

Lo dice uno studio voluto da Global Fishing Watch: network che monitora l'attività di pesca in tutto il mondo. L'analisi è stata pubblicata venerdì 23 febbraio sulla rivista "Science" con il titolo "Monitoraggio dell'impronta globale della pesca". Combinando diverse tecnologie, tra cui l'intelligenza artificiale, la ricerca ha calcolato anche la distanza totale percorsa dalla flotta industriale (460 milioni di km l'anno), le ore dedicate alla pesca (37 milioni) e l'energia consumata dalla barche (20 miliardi di kilowattora annuali). Ad accaparrarsi l'85% del pescato totale sono cinque Paesi, la maggior parte asiatici: Cina, Spagna, Taiwan, Giappone e Corea del Sud. Più distanziate le flotte di Italia, Russia e Stati Uniti, con molte imbarcazioni ma che si avventurano più raramente negli Oceani.  

Il monitoraggio degli AIS

A partire dal 2005, l'Organizzazione marittima internazionale ha introdotto l'obbligo per i pescherecci di oltre 300 tonnellate di stazza lorda di dotarsi di un sistema di identificazione automatica (AIS, automatic identification system) che a intervalli regolari emette un messaggio contenente varie informazioni tra cui identità, posizione, velocità e percorso della barca in questione. Dati che sono di pubblico accesso e che gli studiosi hanno preso in esame nel corso di questa indagine, cominciata nel 2012 arrivando ad analizzare 22 miliardi di messaggi AIS. "Sono talmente dettagliati – spiega a "El Pais" il colombiano Juan Mayorga, della National Geographic Society, che ha partecipato allo studio – che possiamo persino vedere le differenze culturali". I pescatori occidentali, per esempio, preferiscono ridurre la loro attività nel fine settimana; i cinesi non si fermano praticamente mai, salvo nei giorni vicini ai festeggiamenti per il Nuovo anno.

I limiti dello studio

Mappando gli spostamenti delle imbarcazioni, i ricercatori hanno tracciato anche le zone degli Oceani più battute: i pescatori europei si concentrano nel nord-est dell'Atlantico mentre le flotte asiatiche e russa nella parte occidentale del nord del Pacifico. Altre grosse concentrazioni di pescherecci sono state registrate nel golfo di Guinea nel resto dell'Atlantico e nell'Oceano Pacifico centrale verso le coste americane, aree ricche di banchi di pesci per le correnti di acqua fredda. "Lo studio dimostra come la pesca sia un processo industriale e che le barche operano come fabbriche galleggianti che, per guadagnare, devono funzionare ininterrottamente", spiega sempre al quotidiano spagnolo il biologo della Dalhousie University canadese e co-autore della ricerca, Boris Worm. Secondo gli autori, però, ci sono alcuni punti deboli nello studio. Il principale è il target di riferimento: 70mila imbarcazioni, quando i pescherecci mondiali - secondo la Fao - sarebbero circa 1,2 milioni (la maggior parte dei quali, essendo però di piccola taglia, non ha un sistema AIS). Infine, il lavoro non prende in considerazione la pesca vicino alle coste, che corrisponde all'85% di quella effettuata in tutto il mondo.  

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