Dottor ChatGPT: rischi e benefici dell'IA sulla salute mentale

Affidereste i vostri problemi, i vostri segreti, i vostri timori e i vostri sogni a una macchina? Solo qualche anno fa la risposta sarebbe stata probabilmente “no”, ma con l’arrivo dei chatbot basati su grandi modelli di linguaggio come ChatGPT, le cose stanno cambiando. Velocemente. Come riportato dalle cronache dei giornali, ma anche da alcuni studi scientifici usciti di recente, il numero di persone che dialogano col chatbot come se stessero sottoponendosi a una seduta di analisi è in forte crescita. Lo stesso amministratore delegato di Open AI , Sam Altman, ne ha fatto cenno in un’intervista. “Le persone parlano delle cose più personali della loro vita con ChatGPT. Lo usano, soprattutto i giovani, come un terapeuta, un life coach; hanno problemi relazionali e chiedono: cosa devo fare?”, ha detto Altman al podcaster Theo Von. Uno sviluppo inaspettato , che pone tutta una serie di problemi. In primis, come ricorda anche il manager nell’intervista, c’è il fatto che, a differenza di quanto avverrebbe in una seduta con un vero terapeuta, le conversazioni con un chatbot non sono protette da un accordo di riservatezza. Questo significa che, non solo sono potenzialmente visionabili da OpenAI , ma anche ottenibili da chiunque possa essere legalmente titolato a farlo – per esempio, la polizia o alcuni enti governativi. Per non parlare del rischio di un possibile “leak”, in cui i dati vengono trafugati da malintenzionati. Non si tratta di preoccupazioni di poco conto: sono chat ricche di informazioni confidenziali, una possibile miniera d’oro per chi fosse interessato a ricattare o screditare qualcuno. Sulla rivista The Verge, la giornalista Adi Robertson si spinge addirittura a ipotizzare l’utilizzo improprio delle confidenze fatte ai chatbot come uno degli elementi dell’apparato di sorveglianza di uno Stato autoritario. Al netto di questi timori, per ora prematuri, l’uso delle Ia a scopo psico terapeutico ha delle controindicazioni più immediate, legate alla natura stessa dello strumento. ChatGPT, Claude, Gemini e tutti gli altri, si caratterizzano per un comportamento detto in gergo “sycophantic”, traducibile a spanne come adulatorio. Come dei veri cortigiani, tendono a non contraddire mai l’interlocutore, anzi rinforzarne le convinzioni. Assieme al loro essere sempre a disposizione, 24 ore su 24, in persone con problemi mentali questo può facilmente contribuire a far sprofondare l’utente in una spirale di perdita di contatto con la realtà auto-inganno. Gli articoli su situazioni di questo tipo abbondano: c’è la ragazza affetta di schizofrenia che smette di prendere i medicinali perché secondo ChatGPT sta benissimo e diventa rapidamente ingestibili, o il tizio apparentemente “normale” che, grazie al chatbot, si convince di aver inventato un nuovo tipo di matematica, talmente efficace da poter bypassare qualsiasi crittografia esistente, tanto da indurlo a cercare di contattare agenzie come la National Security Agency per avvisarle del pericolo. O, ancora, il tizio depresso con tendenze suicide che ha perso il lavoro e chiede a ChatGPT l’elenco dei ponti più alti nella zona di New York e il chatbot, gentilmente, glielo fornisce. Perché avviene tutto ciò? “Il nostro cervello - ha spiegato su X il ricercatore dell’Università della California - San Francisco, Keith Sakata - funziona su base predittiva: facciamo una supposizione ragionata su quale sarà la realtà, poi facciamo una verifica e aggiorniamo le nostre convinzioni di conseguenza. La psicosi si verifica quando questo aggiornamento fallisce”, ed è proprio in questo passaggio chiave che si colloca l’opera dei chabot, i quali fungono da “specchio allucinatorio”, impedendo l’incontro-scontro col reale. Tutto questo non significa che l’utilizzo dei chatbot a scopo terapeutico non possa avere un futuro a fini commerciali. Uno dei motivi è molto terra-terra: i soldi. Causa anche code interminabili per godere dell’ assistenza pubblica o convenzionata, a molti non resta che rivolgersi a un libero professionista, le cui parcelle si aggirano però fra i cento e i duecento euro a botta. Non proprio alla portata di tutti. Più facile e immediato accendere e immediato accendere il Pc o lo smartphone. Società come Earkick, Heartfelt Services, Rosebud forniscono servizi di terapia con Ia gratuiti o dietro un modico abbonamento mensile. Nel Regno Unito, la app Wysa è stata adottata dal servizio sanitario nazionale H come supporto in alcuni progetti pilota per il trattamento della depressione e dell’ansia, pare con buoni risultati, sia dal punto di vista del tempo risparmiato dallo staff, che da quello del miglioramento delle condizioni dei pazienti. Qualche anno fa, due ricercatrici di Stanford avevano pubblicato uno studio sulla app Woebot, un precursore degli attuali chatbot, anche in questo caso evidenziandone i lati positivi. L’azienda che ha sviluppato Woebot ha chiuso bottega quest’anno, per motivi non specificati – forse il settore si è fatto semplicemente troppo affollato. In società in cui le persone hanno sempre meno punti di riferimento sia dal punto di relazionale che lavorativo - leggi bassi stipendi e precariato a vita - è forse inevitabile che ci si senta sempre più inclini a confidarsi con un’intelligenza artificiale; la quale, sia detto a suo merito, non giudica o stigmatizza come potrebbe fare un umano. L’importante, sottolineano diversi esperti, è non pensare che l’interazione con un’intelligenza artificiale possa sostituire in toto quella con un terapeuta umano. Anche perché i chatbot si limitano a comunicare verbalmente, mentre un professionista analizza anche altri elementi, come il linguaggio del corpo, le pause, il tipo di vestiti indossati. I chatbot terapeutici, se utlizzati in un ambiente personalizzato e protetto con le opportune precauzioni possono semmai avere una funzione complementare a quella di uno psicoterapeuta, soprattutto in situazioni in cui l’esigenza di sentire una voce con cui dialogare, sia pure una voce artificiale, è improcrastinabile.

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Federico Guerrini