Perché potreste non vedere più inserzioni politiche sui social di Meta

Si torna a fare a meno della politica: Meta ha reso pubblica la sua scelta di sospendere, a partire da ottobre, le inserzioni a sfondo politico, elettorale e sociale in tutti i mercati europei in cui opera. Una decisione a cui l’azienda è stata portata dalla prossima entrata in vigore del nuovo regolamento Ue sulla Trasparenza e il targeting della pubblicità politica , che diventerà operativo il 10 ottobre di quest’anno. Il provvedimento comunitario impone alle piattaforme digitali obblighi di natura stringente: le inserzioni politiche, stando ai suoi dettami, dovranno essere chiaramente indicate come tali, riportare il nome del loro committente, oltre che l’elezione o la causa sociale di riferimento, i costi sostenuti e i metodi di targeting utilizzati per raggiungere l’utenza. Per finire, queste ads dovranno essere archiviate in spazi ad hoc, sempre accessibili al pubblico. Chi sgarrerà potrà incappare in sanzioni che arrivano fino al 6% del fatturato globale della società rea di violazione. Meta si era già lamentata del TTPA, definendo i suoi requisiti operativi “insostenibili” e dicendosi preoccupata dall’“eccessiva complessità” e dall’incertezza giuridica che questo set di regole scaricherebbe, a suo dire, su piattaforme e inserzionisti. Ad anni dalla sua prima implementazione di strumenti che hanno aumentato la trasparenza su questo versante , la multinazionale di Mark Zuckerberg sostiene che il nuovo quadro normativo complicherà la gestione delle inserzioni politiche nel mercato europeo fino a renderla impossibile. La sospensione, è bene ricordarlo, riguarda gli annunci a pagamento: gli utenti d’Europa rimarranno liberi di pubblicare post e alimentare dibattiti a sfondo politico, così come i politici e i candidati rimarranno in grado di diffondere contenuti sulle app delle piattaforme di Meta . La differenza – non da poco, specie sotto elezioni – sarà che nessuno potrà più pagare per amplificare il reach di questi messaggi mediante sponsorizzazioni. Questa decisione resa ufficiale da Meta segna un punto di svolta nel rapporto tra Bruxelles e le grandi aziende tech statunitensi, sempre più segnato dal tentativo delle seconde di resistere a nuovi – e più stringenti – approcci regolatori della prima. Dopo Google, che aveva già annunciato una sospensione simile per evitare l’entrata in vigore del TTPA, Meta quindi ha scelto di allargare il fronte del conflitto con le autorità europee: Menlo Park è da tempo oggetto di indagini nell’ambito delle cornici regolatorie dei regolamenti sui mercati digitali DSA e DMA, e ha deciso di non adottare il codice etico europeo sull’Ia, temendo che si tradurrà in nuove insidie legali. Tra i grandi temi in ballo in questa guerra fredda transatlantica emerge anzitutto l’attrito fisiologico tra la tutela della democrazia e delle elezioni europee e il modello di business articolato sulla profilazione e la pubblicità mirata che caratterizza i giganti del tech. Ogni volta che è finita sulla graticola per le conseguenze portate dal suo sistema, come nel caso Cambridge Analytica, Meta ha sempre sostenuto che political ads informate e targettizzate rappresentano un modo efficace di rendere gli elettori consapevoli e informati nei momenti chiave delle tornate elettorali. In Europa l’approccio regolatorio è storicamente e decisamente più severo rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti: l’Ue considera la pubblicità elettorale personalizzata come un potenziale vettore di manipolazione, e negli ultimi anni ha iniziato a rispondere sul piano politico e legislativo richiedendo una trasparenza totale. Le aziende del tech, di rimando, hanno iniziato a temere la crescente insicurezza operativa sul mercato europee: anche Google ha espresso contrarietà alle norme comunitarie, le quali a suo dire riducono concorrenza e innovazione. Cosa cambierà concretamente nella vita quotidiana degli utenti europei? Partiti, Ong, sindacati e movimenti sociali, perderanno una leva fondamentale di comunicazione, non potendo più allargare i loro pubblici in modo più strutturato su temi come l’immigrazione, il clima e i diritti civili. Questo, secondo Meta, si tradurrà in una diminuita possibilità degli utenti di ricevere contenuti di carattere informativo su questioni al centro del dibattito pubblico. Il dialogo tra Bruxelles e la Silicon Valley resta teso, ma la scelta di Meta rappresenta un segnale significativo: se da un lato conferma la determinazione regolamentare dell’Ue nel mettere ordine ai flussi digitali, dall’altro rende ancora più urgente iniziare a immaginare soluzioni alternative, magari slegate dal modello pubblicitario della profilazione. La posta in gioco, nemmeno a dirlo, è alta: non è in ballo solo il futuro della pubblicità online, ma anche il rapporto tra democrazia, informazione e potere delle piattaforme digitali.

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Davide Piacenza