Oltre i luoghi comuni: com’è davvero la cybersecurity del Vaticano

Negli ultimi giorni ha fatto il giro del web la notizia che il Global Cybersecurity Index 2024 dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni — l’agenzia dell’ONU responsabile per le tecnologie dell’informazione — ha classificato il Vaticano tra i Paesi con le performance più basse in materia di cybersicurezza. L’inserimento nel livello 5, insieme ad Afghanistan, Maldive e Yemen, ha acceso il dibattito sull’effettiva vulnerabilità informatica della Santa Sede. Ma davvero il cyberspazio vaticano è un bersaglio facile? I fatti raccontano una realtà ben diversa. Il sistema di classificazione si basa su parametri come interventi legislativi, strutture organizzative e cooperazione interstatale — criteri che risultano spesso inapplicabili a una realtà unica come quella della Santa Sede, che non segue la struttura amministrativa tipica degli Stati nazionali. Non si tratta, quindi, di assenza di difese, ma di una diversa modalità di gestione, meno visibile e formalizzata, ma non per questo meno efficace. La prova più evidente della solidità delle barriere digitali del Vaticano è il recente Conclave. In un’epoca in cui la riservatezza è minacciata da intercettazioni, fughe di dati e tecnologie invisibili, il segreto del voto papale è stato ancora una volta garantito senza alcuna violazione. Un risultato possibile grazie a una serie di misure drastiche, che hanno trasformato la Cappella Sistina in una vera “zona muta digitale”. Il dispositivo di sicurezza ha incluso jammer multi-frequenza per bloccare ogni tipo di segnale, disattivazione delle antenne mobili, schermature elettromagnetiche, pellicole anti-drone e anti-laser sulle finestre, bonifiche elettroniche e il divieto assoluto per i cardinali elettori di portare dispositivi digitali. L’area era inoltre protetta da sistemi anti-drone attivi e, secondo alcune fonti, anche da strumenti in grado di neutralizzare minacce a distanza con energia direzionale. Questa forma di cybersicurezza — integrata con misure fisiche e attività di intelligence — ha dimostrato non solo di funzionare, ma di essere all’altezza degli standard più avanzati a livello internazionale. Il fatto che il segreto del Conclave sia stato preservato è la conferma tangibile della solidità delle difese digitali vaticane. E se pochi attacchi sono stati rilevati negli ultimi anni, a fronte di un numero di minacce presumibilmente altissimo, è perché i sistemi funzionano. Anche se non si raccontano. Non è un caso se lo stesso impianto di sicurezza viene ora rafforzato in vista del Giubileo 2025, evento che richiamerà a Roma milioni di fedeli, leader religiosi e capi di Stato. Il Vaticano si sta preparando con una visione integrata, che unisce cybersicurezza, protezione elettronica e difesa dalle minacce ibride, all’interno di un progetto strategico che tiene insieme tradizione e innovazione. In questo quadro si inserisce l’esperienza dei Vatican CyberVolunteers: un gruppo internazionale di esperti di cybersicurezza che, dal 2022, supporta gratuitamente la Santa Sede attraverso attività di hacking etico. Le loro operazioni seguono le best practice globali del cosiddetto Responsible Vulnerability Disclosure: la segnalazione responsabile, riservata e costruttiva delle vulnerabilità, con l’obiettivo di rafforzare i sistemi senza esporli pubblicamente. In definitiva, la cybersicurezza del Vaticano non si misura con un indice o una classifica, ma con i fatti. E i fatti dicono che, pur essendo una delle istituzioni più antiche e tradizionali del mondo, la Santa Sede ha saputo affrontare con lucidità e competenza le sfide della modernità digitale. Il Conclave blindato, la preparazione al Giubileo 2025 e il contributo silenzioso ma prezioso degli esperti che operano per il bene comune raccontano di un cyberspazio vaticano tutt’altro che scoperto: discreto, protetto, resiliente. Mentre il mondo si interroga su come coniugare innovazione e valori, il Vaticano ci ricorda che anche la fede, oggi, ha bisogno di firewall. E che la sacralità del silenzio può convivere, perfettamente, con la potenza della crittografia. La vera forza del modello Vaticano sta proprio nella capacità di proteggere ciò che è più prezioso — il silenzio, la parola, l’integrità dei momenti decisivi — in un mondo che vive di esposizione. Una sicurezza che non si mostra, ma si esercita. E che, proprio per questo, funziona.

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