Consumi, l’intelligenza artificiale ha fame e sete di energia

Cercando un volo con Google Flights, accanto all’itinerario proposto, vengono indicate le emissioni inquinanti generate, un modo per rendere i viaggiatori consci del loro impatto ambientale. Poco si conosce, invece, del costo per l’ambiente dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, in particolar modo di quella generativa, che alimenta software come ChatGPT, Dall-E, Claude, Midjourney e simili. Che vi sia un impatto sul consumo di acqua ed elettricità, e che sia significativo, nessuno lo nega: lo stesso CEO di OpenAI, lo ha ammesso lo scorso anno, in un incontro al World Economic Forum di Davos – strizzando l’occhio al nucleare di ultima generazione come possibile fonte alternativa di corrente. Non è facile però calcolarne con precisione l’ammontare, perché le aziende tech forniscono pochi dati sui consumi degli enormi data center in cui sono ospitate le Gpu che forniscono la potenza di calcolo necessaria ai modelli Ai per operare. Stime di consumo Esistono però alcune stime: uno studio di Alex De Vries, ricercatore della Vrije Universiteit di Amsterdam, ipotizza per esempio che entro il 2027 l’industria dell’Ia consumerà annualmente la stessa quantità di energia elettrica di un Paese come l’Olanda, corrispondente a circa lo 0,5% della produzione globale. Si tratta comunque di una cifra molto indicativa, basata su alcuni parametri da verificare, come il fatto che l’industria continui a crescere al ritmo attuale, che vi siano abbastanza chips disponibili, e che i server funzionino a pieno ritmo tutto il tempo. Altre proiezioni, come quella presentata nel maggio 2024 al Senato americano da Ben Fowke, Ceo della società American Electric Power, sono ancora più preoccupanti: secondo Fowke, entro il 2030 il consumo di energia dell’Ia aumenterà di 80 volte ed equivarrà al 3,5% della produzione globale. Certo, questo potrebbe non essere un problema, o non esserlo eccessivamente, se i data center fossero alimentati da energie rinnovabili, e alcune grandi società tecnologiche hanno preso impegni in questo senso. Promesse generative Google, ad esempio, ha promesso di ridurre a zero le proprie emissioni entro il 2030, un cambio di strategia rispetto a quanto fatto fino al 2023, quando l’azienda si era limitata a “compensare” l’inquinamento prodotto attraverso l’acquisto di energia pulita. Moltissimi ricercatori stanno studiando inoltre come rendere i processi di calcolo più efficienti e meno energivori, e come adottare scelte industriali più rispettose dell’ambiente, per esempio collocare i data center in luoghi dove sia più facile attingere a risorse rinnovabili, oppure addestrare i modelli in orari di minore carico per l’infrastruttura energetica. Un altro approccio alla sostenibilità energetica del settore riguarda il cliente finale. Rendendo più trasparenti i consumi, tramite lo sviluppo di standard di misurazione e certificazione simili a quelli oggi esistenti per frigoriferi, lavatrici ed elettrodomestici in generale, si potrebbe indurre gli utenti a privilegiare le soluzioni più rispettose dell’ambiente. È il progetto Code Carbon, messo a punto da Sasha Luccioni ed altri ricercatori e americani e canadesi. Tutti questi sforzi richiedono però tempo e, nel caso degli standard, ne incerta l’adozione; quello che è invece è sicuro, è che nel breve e medio periodo lo sforzo necessario per tenere il passo coi progressi impetuosi dell’intelligenza artificiale implicherà un maggiore ricorso all’energia prodotta da combustibili fossili o dal nucleare. Negli Stati Uniti sono già diversi i casi di centrali a carbone di cui è stata rimandata la chiusura, ed è prevista la realizzazione di più di 200 centrali a gas nei prossimi anni. Non tutto questo incremento è ascrivibile all’impatto dell’intelligenza artificiale, i “normali” consumi digitali, il mining di criptovalute, la transizione alla mobilità elettrica sono solo alcuni degli altri fattori da considerare; tuttavia, la “fame” di energia dell’Ai è uno degli elementi dominanti. La sete dell'intelligenza Collegato al problema della fame, vi è quello della “sete” dell’AI. I macchinari situati nei data center producono molto calore e per raffreddarsi sono necessari ingenti quantità d’acqua. Anche qui, non è facile stimare con precisione i consumi. Ci hanno provato alcuni giornalisti del Washington Post, assieme a dei ricercatori dell’Università di California Riverside. Loro è la stima, spesso citata, che per far scrivere a ChatGPT una email di cento parole, corrisponda a consumare una bottiglietta d’acqua da mezzo litro. Moltiplicando questo ammontare per i milioni di richieste effettuate giornalmente si intuisce l’entità del problema. Nel caso migliore i data center si trovano a cercare di accaparrarsi la stessa acqua che viene usata per l’allevamento o l’agricoltura. In quello peggiore, in zone ad alto rischio di siccità, potrebbero competere per la stessa acqua potabile usata dalla popolazione. Entro il 2027, si prevede che l'AI consumerà fino a 6,6 miliardi di metri cubi d'acqua a livello globale, un volume pari a metà di quella consumata dall’intero Regno Unito. Riciclare l’acqua usata, usare acqua non potabile o acqua di mare, come accade in un data center di Google in Finlandia, sono alcune delle soluzioni proposte. Una strategia più radicale è quella di spostare i centri dati vicino al circolo polare artico, dove il clima è più rigido e le necessità di raffreddamento minori. In Scandinavia, prima di tutto, ma in un prossimo futuro forse anche in Groenlandia. Il che è uno dei motivi dietro il rinnovato interesse americano per questa regione. Prima di tutto, in ogni caso, bisognerà che opinione pubblica e policy makers prendano maggiormente coscienza del problema. Un primo passo sono alcune norme dell’AI Act europe che richiedono alle aziende di comunicare alle autorità dati sui consumi energetici dei loro modelli. Non c’è però l’obbligo di comunicarli al grande pubblico. Un’omissione che ha suscitato parecchia perplessità poiché, nell’epoca del cambiamento climatico, come hanno scritto i ricercatori di California Riverside “Il consumo d’acqua dei modelli di AI non può più rimanere sotto traccia: deve essere affrontato come una priorità nell'ambito degli sforzi collettivi per combattere le sfide idriche globali”.

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