Leggi anti-deepfake? La strada americana

Il termine deepfake, secondo la storia orale di Internet, è stato utilizzato per la prima volta nel 2017, da un utente su Reddit che voleva dare un nome al proliferare di una nuova generazione di contenuti falsi e fuorvianti, generati con l’ausilio di nuove tecnologie per essere sempre meno distinguibili dal vero: nemmeno un anno dopo il sito BuzzFeed meraviglierà il mondo con un video di Barack Obama che dice cose senza senso, creato con l’intelligenza artificiale; e, venendo al di qua dell’Atlantico, nei primi giorni d’autunno del 2019 Striscia la Notizia porterà gli italiani a familiarizzare in prima serata con un Matteo Renzi fasullo, ma che parla esattamente come l’ex premier. Nei cinque anni trascorsi da allora l’intelligenza artificiale è progredita in modo così profondo e rapido da far pensare che sia passato un secolo: sono arrivati i modelli generativi, i chatbot come ChatGPT, i monopoli delle grandi aziende come OpenAI. E, di conseguenza, il tema è diventato di pressante attualità per l’opinione pubblica mondiale. La politica finora ha dato risposte parziali, e forse non si poteva fare altrimenti visto il ritmo di evoluzione tecnologica, ma qualcosa sta cambiando. In California, per esempio, è appena successo qualcosa di importante: tre nuove leggi firmate a settembre dal governatore Democratico Gavin Newsom imporranno alle grandi piattaforme dei social media di sottoporre a moderazione i contenuti deepfake con ricadute elettorali. Nell’anno della tornata alle urne che deciderà chi entrerà alla Casa Bianca il prossimo gennaio, le fake news sono tornate a rivestire un’importanza centrale, specie davanti a sondaggi che danno la sfida tra Kamala Harris e Donald Trump quasi perfettamente in bilico. Le leggi californiane, che stabiliscono un precedente di interesse per la giurisprudenza di settore, richiedono a Meta, X, Google e le altre compagnie tech di proibire o etichettare i contenuti falsi a tema elezioni generati con le intelligenze artificiali: chi non si adeguerà andrà incontro alla giustizia americana. Il New York Times riporta che un deepfake postato recentemente da Elon Musk, che riportava la voce di una finta Kamala Harris mentre si autodefiniva «la boss di ogni assunzione pro-diversità», avrebbe costituito un reato secondo la nuova legge . La California non è sola, in questo senso: decine di altri Stati Usa hanno proposto leggi per regolare i deepfake elettorali o a sfondo sessuale, con un sostegno che ha spesso trovato l’accordo tra Democratici e Repubblicani. Diversa è la situazione a livello nazionale, dove non esiste una legge che norma la proliferazione di falsi generati dall’IA, anche se ci sono già stati tentativi in tal senso. Due dei nuovi impianti legislativi mettono nuovi paletti alla libera circolazione di contenuti falsi incentrati sulle elezioni. Quella entrata in vigore con effetto immediato rende fuorilegge postare consapevolmente deepfake al fine di ingannare il pubblico nei quattro mesi precedenti una consultazione elettorale; un‘altra, in vigore da gennaio, impone l’utilizzo di nuove label da apporre ai contenuti creati con l'aiuto di strumenti di intelligenza artificiale. La terza legge, nota come "Defending Democracy from Deepfake Deception Act", richiederà alle piattaforme con più di un milione di utenti californiani di etichettare o rimuovere i deepfake entro 72 ore dalla ricezione di un reclamo. A quel punto, se il gestore non interviene, la palla passa alla giustizia. Altre due leggi della California di recente firma regolano l’uso dell’IA generativa ai danni delle celebrity di Hollywood, richiedendo il consenso dei diretti interessati per l’uso della loro immagine.. Quella in scena nello Stato dell’Ovest americano è la più grande sfida alla Section 230, il caposaldo legale che protegge le aziende della Silicon Valley alla responsabilità sui contenuti pubblicati dai loro utenti, e ciò di cui le Big Tech si sono sempre fatte scudo. E poi, ovviamente, c’è il Primo emendamento della Costituzione statunitense, che impone un certo grado di libertà di espressione al di fuori del controllo delle istituzioni. Secondo i suoi critici, la legge non spiega come faranno le piattaforme a distinguere sempre e con millimetrica precisione tra contenuti ironici o satirici e disinformazione in malafede da censurare, mentre i suoi sostenitori replicano che la Section 230 è un male anacronistico che va superato in qualche modo: chi la spunterà segnerà un punto fondamentale nella corsa alla regolamentazione delle nuove tecnologie.