Telegram: “Più collaborazione con le autorità”. È iniziata la “normalizzazione” della app?

La modifica è lì dove nessuno guarda: nell’informativa sulla privacy e nei termini di utilizzo. Cioè nelle frasi – a volte scritte in piccolo – che accettiamo senza neanche leggere. Quella che riguarda Telegram, però, è una modifica importante, tanto da meritare un annuncio del suo fondatore e CEO, Pavel Durov: “Gli indirizzi IP e i numeri di telefono di coloro che violano le nostre regole possono essere rivelati alle autorità competenti in risposta a richieste legali valide”. Gli indirizzi IP, per intenderci, sono sequenze di numeri che identificano in maniera univoca i dispositivi che si collegano a Internet e sono quindi fondamentali per identificare gli autori di un reato online. Basta questo per capire che il post – pubblicato su Telegram, ovviamente – potrebbe essere un netto cambio di rotta per la piattaforma dalla doppia identità: da una parte strumento di libertà nei regimi autoritari, dall’altra “parco giochi per criminali, terroristi ed estremisti” . Per capire come siamo arrivati a questo punto dobbiamo tornare a un mese fa. È il 25 agosto quando Pavel Durov viene arrestato a Parigi. Pochi giorni dopo viene rimesso in libertà vigilata, senza la possibilità di lasciare il Paese. Tra le accuse che gli vengono mosse, l’utilizzo della sua piattaforma per la vendita di materiale pedopornografico e il traffico di droga, la frode, il favoreggiamento di operazioni di criminalità organizzata e – appunto – il rifiuto di Telegram di condividere informazioni o documenti con gli investigatori quando richiesto dalla legge. L’arresto del CEO di una piattaforma per le attività che vengono svolte dagli utenti ha pochissimi precedenti e mette Durov davanti a una scelta: andare a muso duro contro le autorità oppure collaborare. Lui critica l’arresto, la definisce una misura esagerata ma allo stesso tempo ammette i problemi di una app cresciuta fino a raggiungere gli oltre 950 milioni di utenti in tutto il mondo. Ecco allora che arrivano le modifiche che, secondo Durov, “dovrebbero scoraggiare i criminali”. Non permetteremo, aggiunge l’imprenditore, “che i malintenzionati mettano a rischio l'integrità della nostra piattaforma”. Esperti di sicurezza e polizie di tutto il mondo da tempo denunciano quello che accade sui canali Telegram. Se da una parte le principali aziende tecnologiche hanno interi uffici che si occupano di gestire i rapporti con le autorità durante le indagini, nel caso di Telegram le richieste degli investigatori rimangono spesso senza risposta. Tanto che in alcuni Paesi la polizia ha proprio smesso di chiedere collaborazione, ritenendolo un passaggio inutile. Un atteggiamento che insieme alla immotivata fama di app “più sicura per scambiare messaggi” ha permesso a Telegram di crescere. Adesso la creatura di Pavel Durov è davanti a un bivio: una sorta di “normalizzazione” che la porti nello stesso recinto di altre app, non solo per numero di utenti. Oppure una svolta di facciata che, nonostante gli annunci, lasci le cose così come sono. Nel primo caso, la Rete sarà un posto più sicuro. Almeno fino all’arrivo di un nuovo Telegram.

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