L’Europa va alla guerra contro Apple e Google

All’orizzonte del rapporto fra Big Tech e istituzioni comunitarie si addensano nuvoloni neri: l’Europa va alla guerra contro Apple e Google, per motivi diversi ma riconducibili a una radice comune: l’apporto di nuova linfa alla contrapposizione tra potere politico e dominio dei giganti della tecnologia digitale. A volte basta il pronunciamento di un organo giudicante: lo scorso 10 settembre la Corte di Giustizia europea ha stabilito che ‘Big G’ ha violato le leggi anti-monopolio dell’Unione Europea, e che l’azienda che fu di Steve Jobs deve risarcire all’UE 13 miliardi di euro di tasse non pagate. Qui Cupertino Il caso europeo contro Apple risale al 2016, l’anno in cui Bruxelles ha accusato la multinazionale di aver ricevuto un trattamento fiscale di favore da parte dell’Irlanda, lo Stato in cui hanno sede le sue operazioni europee . Secondo la Commissione UE, tra il 1991 e il 2014 la società californiana aveva beneficiato di un inquadramento fiscale speciale sui suoi utili al di fuori degli Stati Uniti, così “generoso” da poter essere definito un aiuto di Stato: per più di vent’anni le due costole europee di Steve Jobs hanno operato come società di diritto irlandese, anche se non residenti fiscalmente in Irlanda. Il che, per le istituzioni comunitarie, significava che lo Stato d’Oltremanica avrebbe dovuto recuperare il denaro non riscosso. Una decisione, quella della Commissione, che era poi stata annullata nel 2020 da un pronunciamento del Tribunale per un vizio di forma, ma che in settimana è tornata di pressante attualità, facendo esultare la commissaria per la concorrenza Margrethe Vestager, la quale ha parlato di un passaggio «epocale» e ha aggiunto: «Oggi è una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale». Apple ha sempre declinato ogni accusa: lo stesso Tim Cook aveva parlato di «una cretinata politica» in riferimento al parere della Commissione europea, accusando quest’ultima di voler «cambiare retroattivamente le regole» per colpire Cupertino. Nel decennio 2003-2014, la società sostiene di aver corrisposto 577 milioni di dollari al fisco irlandese. Qui Mountain View La disfida Europa-Google è più recente: l’anno da tenere a mente è il 2017, quando Bruxelles ha accusato la società di dare un canale preferenziale ai link del suo servizio Google Shopping nelle ricerche online, violando le leggi antitrust comunitarie. Il gigante del tech era stato multato per 2,4 miliardi di euro, ma aveva fatto appello alla Corte di Giustizia europea e la sanzione da allora era stata messa in standby. Per l’antitrust europeo la colpa di Google è aver presentato al suo enorme bacino di utenza risultati di ricerca attinenti a un suo servizio interno – il comparatore di prodotti Google Shopping, per l’appunto – in prima posizione, evidenziandoli con presentazioni visive accattivanti di cui la concorrenza era rigorosamente sprovvista. Insomma, un caso di scuola di abuso di posizione dominante. Mountain View si è detta «delusa» dalla sentenza: un portavoce della società ha spiegato che Google ha «apportato modifiche nel 2017 per conformarsi alla decisione della Commissione europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi». Un’altra grana per una multinazionale che vive giorni difficili anche in patria, dove il Dipartimento di Giustizia americano siede dalla parte nell’accusa nel processo che vede Google imputata di aver de facto monopolizzato la pubblicità online. Tornando al di qua dell’Atlantico, è bene sottolineare che entrambi i pronunciamenti – quello su Apple e quello su Google – sono definitivi e non possono essere appellati: una cocente sconfitta per i capitani della Silicon Valley, e un segno ineludibile di come il vento sia cambiato, anche alle nostre latitudini.

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