Olimpiadi e salute mentale, quando vincere non è l'unica cosa che conta

Le gambe incrociate, gli occhi chiusi e addosso il body blu della competizione. Nei suoi 142 centimetri Simone Biles appare maestosa: non solo per i brillanti sul costume o perché a 27 anni è già la ginnasta più medagliata di sempre. La foto che l'atleta ha postato sul suo account Instagram in atteggiamento meditativo, qualche ora prima di "volare" - letteralmente - in pedana, potrebbe essere uno dei simboli di queste Olimpiadi. "Mental health matters", recita la didascalia. E se a scriverlo è una ragazza che praticamente da quando è nata respira il clima della sfida pura , e che è per questo abituata ad andare a cento all'ora anche quando il corpo avrebbe soltanto bisogno di rallentare, viene da crederci. E magari da prenderla a modello. Il mito di Stachanov Il mito della performance, del resto, non è una prerogativa unicamente sportiva. La produttività a ogni costo è quella che si è insediata nella nostra società a tutti i livelli e ci promette successo e felicità, mentre in realtà ci porta solo stress, FOMO e in alcuni casi burnout. Siamo stacanovisti. Eppure, soprattutto le giovani generazioni stanno contribuendo a modificare questa visione. E Parigi 2024, dove l'età media degli atleti è 26 anni, è un palcoscenico abbastanza emblematico di questo cambiamento. Sia chiaro: non essere stacanovisti non significa screditare l'impegno ed essere scansafatiche, ma intuire e accettare che esistono momenti in cui è utile tirare il freno a mano. Nel 2021, a Tokyo, Biles aveva deciso di abbandonare la gara nel pieno della competizione. La motivazione era stata semplice, ma inedita: "Devo concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio il mio benessere". Lì per lì non tutti avevano compreso. "Alle Olimpiadi gli atleti provano a superare i loro stessi limiti coronando, in una prova che spesso dura pochi secondi, gli sforzi di una vita. Se fallisci ti senti finito e in quel momento, se fosse andata male, Biles avrebbe avuto un crollo troppo grosso", spiega a Sky tg24 la psicologa Antonella Elena Rossi. L'importante è partecipare? È naturale, siamo umani. Si desidera vincere per sé stessi e per soddisfare le aspettative degli altri. "Voler arrivare primi non è sbagliato", continua Rossi. "Ma parlare di fallimento quando non ce la si fa lo è, e i giovanissimi sembrano averlo capito. Complice la pandemia, in cui loro, più di tutti, hanno fatto i conti con quel concetto stoico di autarchia: si sono dovuti bastare, in un tempo dilatato, evitando drasticamente la socialità tipica della loro età". Sintomo di questa consapevolezza è la vicenda tutta italiana di Benedetta Pilato. Diciannove anni, argento ai Campionati italiani di nuoto 2022. Alla giornalista che dopo il quarto posto nei cento metri rana a Parigi le ha detto "Non è la tua serata", la campionessa ha risposto : "No, non direi così. Sono contenta anche solo di poter partecipare". Riconoscendo quello che è comunque un ottimo successo nel suo percorso. Questione di priorità I dati parlano chiaro: per la Gen Z il benessere e la salute mentale sono una priorità. Per questa ragione si stanno venendo a delineare nuovi modelli valoriali: nello sport , nel mondo del lavoro e nella vita di tutti i giorni. "Le giovani generazioni sono più consce dei rischi associati al perseguimento ossessivo della performance e stanno cercando di bilanciare la loro vita in modo più sano. Questo non significa che abbiano meno ambizione o dedizione, ma piuttosto che riconoscono l'importanza di prendersi cura di sé stessi per poter dare il massimo", conclude Rossi. Le Olimpiadi di Parigi 2024 potrebbero rappresentare un punto di svolta nel modo in cui vediamo e interpretiamo le "vittorie", dentro e fuori dal campo. Se campioni giovanissimi sono riusciti a dire basta davanti a situazioni di stress insostenibile, andando al di là del concetto di "fallimento" per gioire di un'esperienza vissuta, forse qualcosa si sta muovendo e dovremmo tutti iniziare a seguire il loro esempio. Per farlo, anzitutto, occorre rimodulare il linguaggio dei media. Sviluppare, quando si parla di sconfitte, una nuova sensibilità, un'empatia che ha poco a che fare con i titoli clickbait. "Mental health matters".