Ogni domenica alle ore 21.15 su Sky Uno appuntamento speciale con Bondi Ink Tattoo Crew. In attesa del prossimo episodio, ecco l’intervista a Tricky, amante dei tatuaggi in uscita con il nuovo disco Ununiform
Già solo parlando di tatuaggi, si capisce che Tricky è un tipo difficile da definire. In attesa del prossimo episodio di Bondi Ink Tattoo Crew, in onda ogni domenica alle 21.15 su Sky Uno, abbiamo affrontato l’argomento con l’eclettico artista di Bristol, protagonista nei primi anni '90 di una vera e propria rivoluzione musicale assieme a gruppi come i Massive Attack e i Portishead, giunto ora al suo tredicesimo album con Ununiform, in uscita il 22 settembre.
Partiamo dai tattoo: qual è il primo che si è fatto?
Il primo tatuaggio che ho fatto… oddio, non me lo ricordo. Aspetta, fammi pensare. No, è incredibile, non me lo ricordo davvero!
Va bene, proviamo allora con il più recente…
L’ho fatto in Texas, o forse in Giappone… no no, era in Texas. È un dipinto, tatuato sulla schiena.
I suoi tatuaggi hanno un significato profondo o sono solo “estetici”?
No, nessuno ha un qualche significato per me, tranne il nome di mia figlia.
Uno stile di tatuaggi che ama?
Il mio tatuatore preferito è Hiroshi III, un tatuatore giapponese che è una vera e propria leggenda. Ho anche alcuni suoi tatuaggi.
Il tatuaggio più strano che ha mai visto?
A San Pietroburgo, c’era questa ragazza con due dragoni tatuati sul viso, le arrivavano fino alla bocca. Era più di vent’anni fa, quando i tatuaggi non erano ancora una cosa così mainstream, ci voleva un bel coraggio a farsi un tattoo di quel tipo. Per cui penso che fosse speciale soprattutto perché era così avanti coi tempi.
Il titolo del suo disco, Ununiform, si riferisce al suo stile musicale eclettico: come ha fatto negli anni a mettere assieme tanti generi musicali, rimanendo però riconoscibile?
È strano, ma credo che abbia a che fare con la riconoscibilità del mio suono, mentre non è così per tutti i musicisti. Potrei fare un disco hip hop, reggae o rock, ma suonerebbe comunque come me. Non so esattamente cosa sia.
A proposito di collaborazioni, c’è quella in When We Die con Martina Topley-Bird: come è stato collaborare con qualcuno così rilevante non solo per la sua carriera, ma anche per la sua vita privata (ndr: i due hanno avuto un figlio assieme ai tempi del primo album di Tricky, Maxinquaye)?
Per me è stato molto naturale, perché siamo rimasti costantemente in contatto, in tutti questi anni. Invece, per dire, l’anno scorso ho registrato un pezzo con i Massive Attack, coi quali invece non parlavo nemmeno da qualcosa come 15 anni. E dopo tutto questo tempo è stato strano tornare a lavorare assieme.
Ma ha funzionato…
È stato strano rivederci, all’inizio, ma poi è stato bello ritrovare un’intesa. Anche se da un punto di vista musicale facciamo qualcosa di totalmente diverso, abbiamo cominciato dallo stesso punto.
A proposito del passato, questo ultimo album in qualche modo riecheggia i suoi primi lavori…
È vero. Non tanto musicalmente, però. È più una sorta di sensazione. I miei primi album avevano una vibrazione meditativa, erano molto semplici, e c’è qualcosa di tutto questo anche in Ununiform.
Da quei primi album fino a oggi però si coglie una precisa evoluzione, nell’attitudine…
È che adesso non ho più la stessa foga di allora di fare tanto. Ho realizzato che più lentamente vivo, più cose riesco a fare. All’epoca credevo fosse l’opposto, ma era un’illusione.
In questo la ha aiutata anche la città dove vive adesso?
Sì, Berlino, per quanto sia una metropoli, è un posto molto rilassato. E poi non conosco nessuno, quindi non ho tentazioni! Al massimo esco a bermi una birra da solo, ma poi per le dieci sono già a casa. E questo mi aiuta a focalizzarmi sulla musica.