Yellowstone, la recensione del primo episodio

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Linda Avolio

Leggi la recensione del primo episodio della prima stagione di Yellowstone, in onda ogni venerdì alle 21.15 su Sky Atlantic. - OVVIAMENTE CI SONO SPOILER PER CHI NON HA ANCORA VISTO L'EPISODIO - Kevin Costner ieri e oggi: com'è cambiato il protagonista di Yellowstone negli anni. FOTO

Yellowstone, episodio 1: la recensione

 

ATTENZIONE: PERICOLO SPOILER

PER CHI NON HA ANCORA VISTO L'EPISODIO

 

Daybreak, il primo episodio di Yellowstone, è, per forza di cose, un episodio di setting, di presentazione, che in un’ora e mezza di solidissima narrazione ci porta dentro le vite dei personaggi principali, primo fra tutti ovviamente il John Dutton di Kevin Costner, e getta le basi per la “guerra” che si svilupperà da qui in avanti. Taylor Sheridan (sceneggiatore, per restare in tema western contemporanea, del bellissimo Hell or High Water) qui è sia alla regia sia alla scrittura, e si vede. Insieme a John Linson, altro creatore di Yellowstone, è riuscito con successo a portare la parte più selvaggia del Montana – stato di frontiera in tutti i sensi, situato a nord-ovest degli USA al confine col Canada – nelle case degli spettatori statunitensi e ora anche di quelli italiani.

In un mondo così remoto, lo scontro tra lo status quo e il progresso è pressoché inevitabile, come vedremo. Ma facciamo un passo indietro. John Dutton, proprietario del Yellowstone Dutton Rach, il più grande ranch dello Stato, e la sua famiglia (i figli Kayce, Beth, Jamie e Lee) rappresentano ovviamente lo status quo. I cosiddetti “trapiantati,” cioè coloro che si sono trasferiti recentemente in zona – siamo nei dintorni di Bozeman, 41.000 abitanti circa, la quarta città del Montana per ordine di grandezza, nonché polo universitario statale – e che non sono originari di quei territori da generazioni sono semplicemente disprezzati da lui. In parole povere: la gentrificazione è il male, e va evitata a ogni costo (arrivando addirittura a deviare il corso di un fiume…alla faccia della preservazione!).

Portavoce della modernizzazione, del progresso e dell’espansione turistica è l’imprenditore edile Dan Jenkis (Danny Huston), che ha intenzione di costruire un resort di lusso vicino al confine col ranch dei Dutton. Lo scontro è pertanto dietro l'angolo. Un’altra spina nel fianco di John è poi Thomas Rainwater (Gil Birmingham), il neo eletto presidente della comunità di nativi di Broken Rock, intenzionato a restituire alla sua gente ciò che apparterebbe loro di diritto e che è stato loro rubato nei secoli scorsi. Il personaggio di Rainwater è ben lontano dall’essere simpatico, anche perché è evidente che le sue mire espansionistiche sono più un gioco di potere che una questione di giustizia, ma non si può non essere d’accordo con lui almeno in parte. Forse in patria gli spettatori di Yellowstone saranno più propensi a stare dalla parte del granitico protagonista, il self made man che ha ereditato un impero creato dai suoi avi dal nulla, ma altrove è difficile immaginare una tale identificazione.

A ogni modo, Daybreak è un episodio di impostazione e presentazione che fa un ottimo lavoro nel mostrarci il carattere dei personaggi e nel farci vedere come agiscono quando messi in determinate situazioni. C’è chi preferisce l’attacco verbale, chi ha il grilletto facile e il sangue gelido come la morte, e chi invece vorrebbe solo vivere in pace, ma la pace ormai è qualcosa di molto lontano. Si prenda per esempio la sequenza d’apertura, quando John spara al cavallo ferito a morte: basta veramente poco, eppure abbiamo già capito che tipo di uomo è. Un uomo che fa ciò che va fatto senza fare una piega. Un uomo che è pronto all’azione, ma che reagisce solo se ce n'è veramente bisogno. O se è provocato. Debolezza che Rainwater decide di sfruttare senza perdere tempo, come ci mostra la seconda parte dell’episodio.

La scena introduttiva del personaggio di Kelly Reilly, Beth Dutton, l’unica figlia femmina di John, è forse la più indimenticabile di tutto l’episodio. Beth, che lavora per una grossa banca che si occupa principalmente di investimenti e acquisizioni, è un vero e proprio squalo, capace di mangiare la sua vittima in un solo boccone e di farsi anche dire grazie a pasto concluso. Rispetto ai fratelli è forse quella più simile al padre, e non abbiamo dubbi che si farà in quattro per proteggere il regno familiare.

Gli altri figli di John – Jamie (Wes Bentley), brillante avvocato di successo attratto dalla politica; Lee (Dave Annable), mandriano idealista che se potesse vivrebbe da solo in compagnia dei suoi animali; Kayce (Luke Grimes), veterano di guerra che vive nella riserva con la moglie e il figlio – sono decisamente meno acuti e meno aggressivi, infatti col padre non è proprio tutto rose e fiori.

John considera Lee un buon mandriano ma un pessimo imprenditore, mentre secondo lui Jamie la politica se la deve proprio scordare, perché il suo posto è con la sua famiglia, e non sul palco a fare promesse agli elettori. Con Kayce la situazione è ancora più tesa: non solo è sposato con una nativa, Monica (Kelsey Asbille), non solo vive nella riserva, dove il cognome Dutton non è proprio quello più amato, ma addirittura non è molto contento all’idea di far interagire suo padre con suo figlio, Tate (Brecken Merrill), che è solo un bambino e che certe cose ancora, per fortuna, non può capirle.

La scena in cui Felix Long, l’ex saggio capo della comunità, dà il suo consiglio a Kayce prima dello scontro per il bestiame ci mostra la dura realtà dei fatti. Il sangue non mente, e al sangue non si può sfuggire. Kayce desidera fortissimamente non essere come suo padre, vivere al di fuori della logica del dominante e del dominato, ma la realtà dei fatti gli ricorda che non solo ciò è impossibile, ma che la sua vera famiglia è quella di origine, e non, purtroppo, quella creata con sua moglie.

Veniamo infine al culmine dell’episodio, cioè la morte di Lee e l’uccisione di Robert Long – il fratello di Monica, che sembra odiare i bianchi in generale e i Dutton in maniera particolare – da parte di Kayce, giunto a difendere il fratello ormai a terra. Questo per il personaggio di Grimes è un momento chiave. E’ qui che finalmente iniziamo a capire veramente come sia dentro e da dove arrivi. E' un cavallo che si è lasciato domare, ma che dentro scalpita.

E’ proprio la morte di Lee, incapace come imprenditore ma, di fatto, erede del padre alla guida del ranch, a mostrare – a noi spettatori e soltanto a noi – un lato inedito di John Dutton. Prima quella scena in cui il personaggio di Costner porta il corpo inerme del figlio in un posto isolato della tenuta per poterlo stringere un’ultima volta a sé, e poi quelle lacrime nella scuderia, dopo il funerale, di fronte ai cavalli, testimoni muti che non riveleranno a nessuno questo suo momento di fragilità.

Un po' problematica la questione della marchiatura degli uomini del ranch come segno di fedeltà e di appartenenza: è comprensibile, anche se fino a un certo punto, per quelli che da John, che ha dato loro una seconda (o ultima?) possibilità, sono stati salvati, come ben lascia intendere la scena in cui Rip Wheeler marchia lo sbandato Jimmy Hurdtrom. Ma è veramente inquietante il fatto che anche Kayce porti quello stesse simbolo sul petto. Ce l'avranno anche Jamie e Lee? In netto contrasto col finale e invece tutta la sequenza dei tre fratelli Dutton che condividono un momento di convivialità tra loro e col piccolo Tate, erede inconsapevole di quel regno e di quello stile di vita. Sarebbe bello se la vita al ranch si riducesse a questo, ai momenti bucolici e idilliaci, ma purtroppo non è e non sarà così.

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