Il rapporto conflittuale col padre, la nomina a sottosegretario al Ministero degli Interni, il cameratismo con Maroni, la deferenza nei confronti di Bossi, l'accettazione del fatto che la politica è il regno del compromesso...e la rabbia, che non andrà mai via: leggi la recensione del terzo episodio di 1994, episodio dedicato al personaggio di Pietro Bosco, interpretato da un ottimo Guido Caprino. - 1994, le foto di backstage del cast del terzo e del quarto episodio della serie TV
1994, la recensione del terzo episodio
Il terzo episodio di 1994 è incentrato sul personaggio più emotivo, più sanguigno, della serie, Pietro Bosco, il leghista rugbista interpretato da Guido Caprino. Come già visto nel secondo episodio durante la scena del veloce e velenoso incontro con Veronica nei corridoi di Palazzo Montecitorio, Pietro è stato eletto con la Lega, infatti lo ritroviamo a Roma. Il prologo, però, è ambientato "su al nord", e si concentra sul rapporto con suo padre, un rapporto fatto più di scontri che di incontri.
Approfittando della tappa gallaratese della campagna elettorale, dunque il prologo è ambientato prima delle elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, Pietro va a parlare con suo padre per chiarire alcune cose. Nello specifico: che fine hanno fatto i 200 milioni che gli ha prestato per pagare l'usuraio Izzo, visto che alla fine Izzo l'ha denunciato e l'ha fatto arrestare? Dino Bosco confessa: ha usato i soldi per pagare i suoi dipendenti, senza stipendio da troppo tempo. Peccato si tratti di una bugia, e anche bella grossa. Durante un dibattito in tv, Pietro usa l'esempio del padre per promuovere il programma elettorale della Lega e, soprattutto, per promuovere l'agognato federalismo, ma ecco accadere l'inevitabile: in diretta, il genitore viene smascherato proprio da un ex dipendente, che, senza mezzi termini, dice di non vedere un soldo da lui da mesi. Dino, infatti, i soldi se li è bruciati al tavolo da gioco.
Pietro è ovviamente furioso, ma da vero animale politico ribalta la situazione: suo padre sarà anche un miserabile, ma è un miserabile disperato, perché "a 66 anni lavora ancora 20 ore al giorno, e non c'ha una lira in tasca! Perché i soldi delle tasse che paga vanno ai forestali della Sicilia! Porco due!!" Chapeau, un vero colpo da maestro. La metamorfosi di Bosco è ormai completa, Batman è muscoli e cervello, ma il suo vero problema, quello che lo frega, è il cuore: i sentimenti non si possono controllare, a meno che non ti chiami Leonardo Notte. Per sentimenti intendiamo anche la rabbia nei confronti del padre, che viene liquidato per sempre, senza appello.
Dopo la sigla scopriamo che Pietro è stato nominato sottosegretario agli affari interni, infatti poco dopo lo vedremo trasferirsi nel suo ufficio al Viminale insieme a Roberto Maroni. Entrambi fanno fatica a crederci, eppure due come loro sono arrivati fin lì, sono seduti a quelle scrivanie, e sempre lì mangeranno un bella pizza Napoli. Basta che Bosisio, il responsabile della loro segreteria, non lo dica in giro! Quello di Bossi (Paolo Mazzarelli) è stato proprio un colpaccio, specialmente visto e considerato che il Presidente Scalfaro era disposto a tutto, ma per favore "niente leghisti agli interni!" A proposito di Bossi: ora l'Umbertone nazionale tiene in grande considerazione Pietro, al punto da affidargli un compito importante, tenere d'occhio Maroni. Pare infatti che Berlusconi si stia muovendo con l'obiettivo di rubare alla lega deputati, senatori e, a quanto pare, anche i ministri...
La scena in cui Pietro si lascia convincere da Maroni a salire sul palco - per un'interpretazione decisamente riuscita di Eccezzziunale veramente, la famosissima canzone di Diego Abatantuono - e la successiva, con i due che bevono una birra e si scambiano alcune confidenze, ci mostrano un lato più privato, più intimo di due uomini che, da spettatori della politica, siamo abituati a vedere prevalentemente in vesti ufficiali. Maroni ribadisce il suo impegno contro la mafia e la sua fedeltà nei confronti di Bossi, l'unico al quale deve qualcosa, Pietro ribatte con un "A me se la Lega non mi candidava non so mica dov'ero a quest'ora...forse in galera..." che dice tutto. Degna di nota la massima di Roberto: se non sei di sinistra da giovane sei senza cuore, se non di destra da adulto sei senza cervello.
Le elezioni europee di giugno non vanno bene per la Lega, mentre segnano un recupero per Forza Italia. Giusto il tempo di un "porca tr*ia..." dopo aver visto i risultati, ed ecco arrivare Bosisio, che ha da sottoporre a Bosco una questione delicata. Un certo Sebastiano Rampini, arrestato per possesso di cocaina, ha fatto il suo nome. Si tratta di Linda. Pietro dice di non conoscere nessuno con quel nome e liquida Bosisio. Alla fine, però, ci ripenserà. Non c'è niente da fare: nonostante gli errori, nonostante la trasformazione in uomo politico, dentro il petto di Pietro un cuore c'è, e continua a farsi sentire.
Tornando alle europee: grazie al successo del suo partito, Berlusconi decide di andare all'attacco, così invita a pranzo Maroni e Bosco. Pietro avvisa Bossi, che gli intima: "Se Maroni fa anche il più piccolo cedimento al Berlusca, te corri qua e me lo dici, e io un minuto dopo lo faccio saltare in aria 'sto governo. Stavolta al Berlusca gli tolgo le tv e gli faccio anche l'antitrust, lo giuro su Dio."
Arcore, Villa San Martino. Bosco e Maroni arrivano a casa del sopracitato Berlusca, e lì conoscono Leonardo Notte. Finalmente, arrivati ormai all'ultimo capitolo, Stefano Accorsi e Guido Caprino si stringono la mano! Silvio non perde tempo: bisogna bloccare il giustizialismo, e ciò significa ovviamente andare contro la Procura di Milano, situazione assai delicata, vista quella cosuccia chiamata "conflitto d'interessi." L'obiettivo è chiaro: convincere i leghisti indecisi a sostenerlo, magari addirittura a passare a Forza Italia. Maroni compreso.
Basterà un dono, la maglia ufficiale del Milan, per convincerlo? Non è chiaro, ma su una cosa Bobo deve dare ragione a Silvio: hanno appena cominciato a lavorare, non si può rischiare la caduta del governo. Pietro è d'accordo: un treno del genere non passa due volte per gente come loro. Motivo per cui decide di dire a Bossi che Maroni non ha vacillato neanche per un secondo.
Rivediamo in questo episodio anche Gaetano Nobile, il mentore di Bosco. I due discutono dell'imminente caduta del governo: cosa succederà quando Bossi sarà costretto a scegliere tra Berlusconi e Di Pietro? Ma cosa vuole Gaetano? Vuole che Pietro lo aiuti convincendo l'Umberto nazionale a staccare la spina. Nella scena successiva, la previsione di Nobile si avvera: Berlusconi, forte dei risultati delle europee, ha deciso di sfidare la Procura di Milano e ora vuole l'appoggio della Lega Nord per far passare il Decreto Biondi, che passerà alla Storia come "Decreto salva ladri." Maroni è, giustamente turbato: negare l'appoggio significa far cadere il governo, dunque dover dire addio alla possibilità di portare avanti i loro progetti (nello specifico, il federalismo), dare l'appoggio significa andare contro il parere dei loro elettori.
Alla fine, come ci insegna la Storia, il Decreto Biondi verrà approvato all'unanimità in Consiglio dei Ministri, nonostante le perplessità di Maroni, ma d'altronde, come ben spiega Notte a Bosco (sì, fa tanto Fratelli Grimm!), la politica è compromesso, è do ut des, ed è proprio su questo che Pietro spinge quando riesce a parlare con Roberto: se il governo cadrà, niente federalismo.
La Storia, però, ci rivela anche qualcos'altro: che il 16 luglio, 3 giorni dopo l'approvazione, Maroni indirrà una conferenza stampa in cui dichiarerà di non essere per niente d'accordo col decreto in questione, perché un'eventuale ratificazione renderà molto più difficile la lotta alla mafia, suo obiettivo dichiarato. Nota non da poco: stando alle sue dichiarazioni, il testo da lui approvato sarebbe stato cambiato, ma a oggi la questione è ancora nebulosa. Ciò che invece è certo è che, in fase di presentazione in Parlamento, il testo del Decreto Biondi viene effettivamente rimaneggiato, cosa che, alla fine, dà sostegno alle parole di Maroni. Morale della favola: il 19 luglio 1994 il Decreto Biondi viene respinto alle votazioni, e alla fine viene ritirato.
Intanto, però, in soli tre giorni vengono scarcerate circa 2.700 persone colpite da custodia cautelare, ed è qui che ci ricolleghiamo alla serie. Durante un'accesa seduta parlamentare, Pietro viene informato della morte del padre, ucciso con un colpo di pistola alla testa. L'uscita dall'aula è l'occasione per far incontrare Bosco, Leonardo e Veronica, che, ben conscia della gravità della situazione, si lancia in un abbraccio sincero. Abbraccio che Leonardo analizza al millimetro. Ad ogni modo, dicevamo, la morte di Dino è chiaramente un'esecuzione, e Pietro ci mette pochissimo a fare due più due: è stato Izzo, lo strozzino, scarcerato proprio grazie al Decreto Biondi...
Spinto dal desiderio di vendetta più che dal desiderio di giustizia, Bosco va dal Capo della Polizia - precedentemente citato al momento del suo arrivo al Viminale - per chiedergli un favore personale. Favore prontamente accettato. Intanto, Dino raggiunge l'altro suo figlio, Milo, morto nel 1984. Oltre a Pietro, al cimitero ci sono pochissime persone. Rimasto solo, Bosco, fiaschetta in mano, rende omaggio al fratello, poi si allontana a piedi. Si avvicina una macchina: è Linda "in abiti civili", cioè Sebastiano Rampini. Pietro sembra contento di vederla, e accetta il passaggio che gli viene offerto. In macchina, finalmente si lascia andare: "Mi aveva cercato...non l'ho mai richiamato...è colpa mia..."
A casa del padre, Bosco, facendo ordine tra i vestiti, nell'armadio, nascosta in mezzo ad alcune coperte, trova una scatola con dentro alcune foto di lui e del fratello e di sua madre. Ma c'è anche altro: tanti ritagli di giornale con notizie che lo riguardano. E' troppo. Sdraiato sul letto, in posizione fetale, Pietro inizia a colpirsi alla testa con le mani e, finalmente, piange. Poi, quando si riprende, chiama Gaetano Nobile: lui ci sta, "è tempo di far cadere 'sto governo di merda!"
Come già successo in 1992 e in 1993, Guido Caprino è semplicemente perfetto nei panni di Pietro Bosco, il leghista-rugbista, il secessionista duro e puro, forse il personaggio meno deprecabile del terzetto di protagonisti formato da lui insieme a Leonardo e Veronica. Pietro è cresciuto, suo malgrado ha imparato le regole del gioco e le ha fatte sue, ma ha un problema: sente troppo, e troppo intensamente.