“Voodoo” di D'Angelo compie 25 anni. Un disco ancora da scoprire

Ci sono dischi che identificano e cristallizzano dei generi musicali, ci sono album che si ritagliano degli spazi in scene già consolidate, e ci sono quelli che, nel tempo, finiscono per simboleggiare l'epoca in cui sono stati creati. Sono tutti album importanti: non sono molti, ma ce ne sono abbastanza per poter generare liste e dibattiti. Infine ci sono quei dischi che creano un nuovo linguaggio musicale: spesso rappresentano un unicum e sono piuttosto rari. Uno di questi è “Voodoo” di D'Angelo. “Voodoo” di D'Angelo esce il 25 gennaio 2000 dopo tre anni di lavorazione ed è la manifestazione del soul al suo apice. È un disco dal suono asciutto e pulito, con arrangiamenti straordinari e suonato meravigliosamente; un disco che parte da uno studio approfondito della musica del passato, grazie a una ricerca che trasforma il tutto in qualcosa di completamente nuovo destinato a cambiare l'r&b moderno. Un album non semplicissimo all'ascolto – per questo anche D'Angelo non è celebre come Prince o Michael Jackson - ma che è un'autentica calamita per almeno un paio di generazioni di musicisti. Chi è D'Angelo Figlio di un ministro pentecostale, D'Angelo - nato Micheal Eugene Archer - è un cantante, compositore e polistrumentista cresciuto in Virginia. A 18 anni vince un concorso per giovani talenti all'Apollo Theatre di Harlem e ottiene subito un contratto dalla EMI. Nel 1995 debutta con “Brown Sugar” co-prodotto da lui e che fonde hip-hop e r&b in un modo nuovo e diverso rispetto a quello che si sente in giro. Il disco vende 40 mila copie a settimana per i suoi primi 4 mesi per arrivare a totalizzare due milioni di copie; insieme a Erykah Badu, Lauryn Hill e Maxwell diventa parte integrante di quel movimento che la stampa specializzata etichetterà come Neo-soul . Perfezionista e intransigente, D'Angelo per il suo secondo album decide di andare in senso contrario all'r&b sempre più commerciale e digitalizzato e di ricollegarsi alle proprie radici – il gospel, il jazz, Sly Stone, il primo James Brown – circondandosi da un gruppo di virtuosi musicisti, produttori e dj che in quel momento stanno cambiando le regole e facendo la differenza. La ricca aneddotica sulla registrazione La registrazione di “Voodoo” avviene nel corso di due anni a Electric Ladyland, lo studio di New York costruito per Jimi Hendrix in un ex nightclub del Greenwich Village. La scelta non è certo casuale per quel luogo che ha impregnato nei muri e nei condotti dell'aria la storia della musica rock, pop e soul. Si vocifera che furono usati gli stessi microfoni che catturarono la voce di Bowie in “Fame”, la console fu quella usata da Jimi Hendrix e il Fender Rhodes fu quello utilizzato da Stevie Wonder quando registrò “Talking Book”. Il gruppo di musicisti che radunò si erano dati un nome e tra questi c'erano il batterista dei Roots Questlove che fu il direttore artistico del disco, il tastierista James Poyser, il fido bassista Pino Palladino, il trombettista Roy Hargrove, il dj e producer J Dilla, più una serie di cantanti e rapper come Common, Erykah Badu, Bilal e Q-Tip che gravitavano intorno e che anche con i loro dischi stavano cambiando il genere. Si dice che Questlove portasse in studio copie VHS di concerti e trasmissioni televisive che mostravano i set di giganti del soul, del funk e del rock che i musicisti guardavano insieme e che poi risuonavano improvvisando per tutta la notte. Le sessioni di registrazioni – tutte live, suonate insieme, con pochissime sovraincisioni – rimasero celebri: i filmati promozionali dell'album mostrano Rick Rubin e Chris Rock che si fermavano per un ascolto e rimanevano sbalorditi dalla qualità del suono. Durante una visita, Eric Clapton reagì alle registrazioni di "Spanish Joint" abbassando la mascella e chiedendo: "È tutto così?". Il disco e le conseguenze Dopo 25 anni “Voodoo” resta ancora un disco unico e affascinante. Qualcuno lo ha ribattezzato “l'equivalente r&b di Ok Computer dei Radiohead” per evidenziare le canzoni lunghe, poco radiofoniche, con un suono legato al passato ma con soluzioni innovative. Dentro ci sono le ispirazioni di Sly Stone, dei Funkadelic, del Miles Davis più funk, la tecnica di Herbie Hancock e la sensualità di Marvin Gaye. Il titolo evoca religione, tradizioni popolari e magia: dentro i groove dilatati delle canzoni c'è dentro qualcosa di mistico e potente che può accadere soltanto quando persone, idee e straordinarie capacità creative si riuniscono per trovare nuove combinazioni. Il disco non è semplice, anche perché D'Angelo voleva dei groove mai banali, ma che rimanessereo “indietro” rispetto al tempo . Ispirato dal dj produttore J Dilla, D'Angelo era interessato nel realizzare un hip-hop suonato e più umano. Lo stesso Questlove aveva dei dubbi sul modificare il suo obiettivo di una vita di suonare a tempo perfetto e su come questo avrebbe influenzato la sua reputazione di musicista professionista, ma aveva comunque capito il quadro generale. Quando Lenny Kravitz fu chiamato a suonare la chitarra in una canzone, affermò che "non poteva suonare perché c'era una discrepanza nel pattern di batteria", senza sapere che era intenzionale. Il disco debuttò al #1 in USA surclassando “Supernatural” di Santana. Nel frattempo la disciplina di D'Angelo sulla musica si era trasferita anche sul proprio corpo che raggiunse una forma incredibile. Così il video di uno dei singoli presentava un'unica inquadratura dalla vita in su. Questo trasformò involontariamente D'Angelo come icona del sesso e quindi, durante il tour, veniva incitato da parte del pubblico femminile a togliersi i vestiti. D'Angelo avrebbe reagito con rabbia e frustrazione rompendo a volte l'attrezzatura e iniziando a cancellare spettacoli tra cui due settimane in Giappone, giustificandosi con problemi personali ed emotivi. Questo comportò dure penali e Questlove non ricevette mai il pagamento completo per il suo lavoro su Voodoo . D'Angelo successivamente lascia la scena musicale per oltre un decennio, finendo nei guai legali prima di scomparire completamente dalla scena pubblica. Tornò nel 2014 con “Black Messiah”, un disco fortemente politico che ricevette un'accoglienza entusiastica da parte di pubblico e critica. Poi ancora un lungo black out. Quest'anno dovrebbe tornare a suonare dal vivo, quindi si presume che in primavera uscirà anche nuova musica. Intanto riascoltiamoci questo capolavoro di “Voodoo” che, davvero, non annoia mai.

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