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Petit si racconta, dal successo di Mammami alla fine del suo debut tour

Musica

“Riscriviamo queste pagine senza avere paura delle nuvole” e Salvatore Moccia, in arte Petit, ha tutta la voglia dei suoi quasi 20 anni di scrivere una vita fatta di anema e core. Mamma francese e papà napoletano, ha appena concluso il suo primo tour a Milano. L'INTERVISTA

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Tuta grigia, capelli corti e lo sguardo di chi sa che ce la sta facendo, ma con la paura di crederci troppo, perché non vuole assolutamente che la sua vita di musica possa finire. Questo è Petit, un ragazzo determinato e buono, anzi come dice lui stesso, troppo buono con un unico desiderio: raccontare attraverso i suoi testi l’amore secondo la Generazione Zeta.

Pensi di essere una figura di riferimento per la Gen Z?
No, la strada è ancora lunga. Sicuramente vorrei esserlo è il mio obbiettivo, ma non lo devo dire io. Vorrei che le persone attraverso le mie canzoni si possano ritrovare, riscoprire e sentirsi a casa. Vorrei che sentendo un mio brano ricordassero un preciso istante o una persona. Per adesso sento di essere sulla via giusta e sono orgoglioso di quello che, in poco tempo, sono riuscito a costruire. Cerco di sfruttare tutte le cose che ho imparato e di essere preparato, in grado di affrontare tutte le opportunità che potranno arrivare senza precludermi niente.

Da cosa prendi ispirazione per le tue canzoni?
Prendo ispirazione dalle cose che vivo, dai racconti delle persone. È come se prendessi costantemente degli appunti che poi trasferisco nei testi. Ogni brano, poi, segue un percorso particolare, ci sono tantissime variabili con cui nascono. Ci sono dei pezzi che scrivo di getto senza pensarci troppo come “Lingerie” e altri in cui ho bisogno di più tempo perché magari c’è un concetto che voglio raccontare e quindi devo trovare il modo con cui svilupparlo. E in questo caso c’è una ricerca diversa delle parole come in “Tornerai”

 

Ti capita di emozionarti mentre scrivi?
Mi emoziono di più quando ascolto il prodotto finito. Perché mentre scrivo sono in un momento estremamente intimo e non penso troppo a quello che sto facendo. Sento solo la necessità di farlo, quindi mi lascio un po' portare da “l’aria del mare”. Ma quando sento la canzone finita lì arriva la vera emozione quasi come se fosse una vera e propria liberazione.

Il tuo nome d’arte racconta il legame con tua nonna Miriam. Hai un ricordo legato a questo vezzeggiativo?
Lei chiamava tutti così. Usava questo nomignolo, petit, anche con mia mamma, era una sua caratteristica. L’ho scelto perché la scintilla verso la musica mi è scatta quando è venuta a mancare. È stato un periodo molto brutto della mia vita, avevo bisogno di liberarmi da quel dolore inspiegabile e solo la musica mi ha permesso di sentirmi più leggero, per quanto possibile. Perciò ho deciso che il mio nome doveva essere in suo onore, in questo modo la porto sempre con me.

Che rapporto hai con la tua famiglia e quanto c’è di loro nel tuo lavoro?
Fortunatamente ho un bellissimo rapporto. Con mamma e papà parlo davvero molto, mi sfogo, sono un punto di riferimento che cerco di portare dentro il mio lavoro utilizzando il francese e il napoletano, oltre all’italiano, nelle mie canzoni. Cerco di sfruttare ogni sfaccettatura perché fanno parte della mia persona.
 

Tu, come hai appena detto, sei un mix di realtà.  Ma c’è una parte che ti appartiene di più?
Nella mia vita privata non potrei mai scegliere un'unica appartenenza, io sono tutte e tre queste realtà. Nelle canzoni, invece, posso scegliere perché tendenzialmente dipende da quello che sento nella musica magari nel beat, se sento più il francese o il napoletano lo inserisco.

Nelle tue canzoni il fil rouge che le collega è l’amore nelle sue diverse sfaccettature. Quale lingua sceglieresti per dire ti amo?
Forse l’italiano, ma semplicemente perché è la lingua con cui comunico di più. Infatti nelle mie canzoni c’è un interazione tra l’italiano e il francese o il napoletano.
Poi il modo migliore per dire ti amo per me è prendendosi cura delle persone care. Io mi sento amato quando ce le ho accanto, quando mi supportano. Ecco supportare qualcuno è simbolo di amore, perché significa stare davvero accanto a quella persona e credere in lei. Perciò quando c’è chi mi supporta in questo modo posso solo sentirmi amato, partendo dal mio pubblico e arrivando alle persone che appartengono alla mia sfera privata.

Sei innamorato?
Si.

E la tua relazione ti aiuta in quello che scrivi?
Si, assolutamente. Mi ispira, però quando scrivo cerco anche di andare oltre a quello che ho. Il mio desiderio è che le persone si possano riconoscere nella mia musica; perciò, cerco di parlare di tanti tipi di relazioni, degli alti e bassi e che ci possono essere, nonostante la mia sia una storia sentimentale “serena”. Io non ho mai vissuto una relazione tossica però mi sembra importante parlarne e mostrare tutte le sfaccettature di un sentimento così importante.

Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Sto lavorando a delle nuove canzoni. Sto affrontando un percorso di ricerca e sperimentazione. Quindi passo da pezzi più pop, a ballad sto cercando di costruire qualcosa che possa raccontarmi sempre di più. È importante secondo me essere aperti e non chiudersi solo nel proprio. Altrimenti se si rimane nella propria zona di confort non c’è possibilità di crescita.

 

Sei soddisfatto del tuo percorso o c’è qualcosa che ti recrimini?
Per adesso lo sono e rifarei tutto quello che ho fatto. L’unica cosa che mi recrimino è la mia fissazione iniziale nei confronti dei numeri, che fortunatamente sono riuscito a eliminare. La verità è che non sono importanti, o meglio lo sono, ma alla fine di tutto. Perché se ti concentri solo su quello sbagli completamente il tuo focus, inizi a scrivere pensando di doverlo fare bene e a tutti i costi, così facendo perdi la tua spontaneità e si sente se un brano nasce per necessità o per altri motivi. Se cerchi la hit non arriva. Nasce da sola.

Tu con Mammamì una hit l’hai già fatta.

È andata bene sì. Sono contento anche se non puntavo al disco di platino e a tutti quei numeri, quelli arrivano da soli ed è bellissimo se ci sono. È un’emozione inspiegabile vedere le persone cantare le mie canzoni, andare in discoteca e sentire i miei brani, mentre solo un anno fa mettevano quelli di qualcun altro. Invece ora ci sono anche le mie. 

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