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Massimo Ghiacci dei MCR: "La speranza oggi ci arriva dall'essere padri e cittadini"

Musica

Fabrizio Basso

Una estate in tour per la band emiliana uscita con l'album "Altomare". Tra i concerti più attesi quello al Kaulonia Tarantella Festival. L'INTERVISTA a MASSIMO GHIACCI

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I valori in cui, da sempre, la grande famiglia dei Modena City Ramblers si riconosce sono solidarietà, tolleranza, rispetto, impegno, onestà e condivisione. E sono tutti nel nuovo progetto "Altomare". Chitarre elettriche efisarmoniche, Clash e Pogues sono le vele sonore alle quali si affidano nel solcare l’“Altomare”, per ritrovarsi nell’approdo sicuro in cui nessuno è meno, nessuno è diverso e il noi ci accoglie, difende e fa ancora innamorare. Con Massimo Ghiacci, membro storico dei MCR, racconto il progetto.

Massimo partiamo dalla storia dell’album: sei anni sono passati dal precedente “Mani come rami, i piedi radici”. Certo c’è stato il covid in mezzo ma resta un tempo lunghissimo e comunque mai vi siete fermati. Quando e come si sviluppa “Altomare”?
La genesi è recente, risale al finire del 2022. Complice il covid al di là di piccole collaborazioni non ci siamo mai messi a pensare un disco nuovo con convinzione. Abbiamo dovuto ripartire quasi da zero anche mentalmente, pure per i concerti: poche date nel 2020, qualcosa nel 2021 e fatto in modo assurdo tra mascherine e distanziamento ripensandoci ora. Nel 2022 è tornata la normalità e abbiamo pensato fosse giusto pubblicare qualcosa. Ci siamo interrogati sull’utilità di produrre nuova musica, imbarcandoci in registrazioni che avrebbero dovuto avere un supporto fisico. Se pensi solo all’online non recuperi i costi della registrazione. Molte canzoni c’erano già, tipo “Resistenza globale” che ha qualche anno, e altre legate più al tema dei migranti, figlie di un progetto con Davide Dudu Morandi, che presenteremo più avanti. Uno degli ultimi brani nati è “Maledetti Pacifisti” che richiama a un libro di Nico Piro, inviato di guerra.
Prima di esaminare l’album, una riflessione musicale: la musica è sempre meno irlandese e sempre più mediterranea. Un cambiamento naturale oppure la centralità di un tema quale è l’immigrazione vi ha portato a esplorare nuovi mondi sonori. Ci aggiungo che questa mutazione era già presente, anche se non in modo così netto, nel precedente lavoro. Per contrapposizione mi ha stupito quanto è irlandese l’incipit di “Mediterranea”.
L’influenza primaria, la nostra radice sonora irlandese rimane per l’intreccio sonoro e gli strumenti, ma in molti brani sonorità, arrangiamenti e impasto ritmico guardano al mediterraneo. Come band che suona da decenni si è sviluppato un sound che da un lato è identificabile e nostro. Abbiamo suonato recentemente a Loano e una signora in inglese ci ha chiesto se abbiamo a che fare con l’Irlanda e lei è di Dublino…ci ha sgamato. C’è però la voglia di andare oltre. A volte anche inconsciamente visto che siamo spesso lungo la rotta dei migranti. Ci sono anche richiami all’Africa mediterranea.
Perché avete scelto il femminile e non Mediterraneo?
C’è una ONG che opera nel Mediterraneo che abbiamo conosciuto nell’estate 2019. Siamo stati ospiti sulla loro nave e conoscemmo quella realtà. E’ un pensiero per chi solca il Mediterraneo per dare aiuto. Il femminile fa pensare alla maternità. Ricordiamoci che chi affronta quel viaggio è mosso da disperazione.
Maria di Porto Salvo è la protettrice dei marittimi: storicamente i marinai erano devoti e chiedevano protezione ai loro santi. Eppure nella vostra canzone non ci sono più santi né preghiere: dove è finita la Fede?
La Fede che sia un Creatore ma anche una cosa più terrena, una idea o un sentimento, è sempre più lontana tranne quando viene sbandierata in maniera ipocrita e imbarazzante. E’ tanto ostentata e non distinguibile negli atti concreti. Vive nascosta nel nostro profondo. Ha senso sperare in una preghiera per le nostre vicende o solo il fare assieme ci darà la rotta giusta? Questo è il quesito.
“Resistenza globale” è memoria ma trasmette anche un senso di sconfitta: l’immagine di Liliana con la scorta sotto casa è, per me, la più nitida. Quanto è alto il rischio che oggi finisca male? Chi è oggi il Partigiano che ci può portare via?
Noi continuiamo a credere che finirà bene nel nostro essere padri e cittadini prima che musicisti nonostante i segnali sconfortanti. La classe politica rappresenta una parte degli italiani ma ce ne è un’altra che fatica a trovare una reale rappresentazione nella nostra democrazia. Ci sono valori che non sono interessanti per il marketing politico: solidarietà, idea pura di accoglienza in senso quasi cristiano, gentilezza, purezza di intenti, sincerità nelle relazioni. Basta cultura dell’ipocrisia e dell’apparenza che ci rende deboli e soli.
Che valore oggi ha la parola fratello? Ognuno vive davanti a un pc, fratellanza e sorellanza sembrano astrazioni.
E’ così, noi ci interroghiamo su queste tematiche…dove sei finito fratello, sei dall’altro lato di un computer? Il fratello siamo noi stessi. Poi ci chiediamo se ci sono ancora i compagni di strada. Siamo lontani dalla fisicità e dall’incontro reale. Questo mondo è funzionale a un certo tipo di marketing politico fatto di slogan e tormentoni.
Quando ti guardi allo specchio ti dici “mai un rimpianto” perché non si rinuncia mai alla lotta?
Più che alla lotta non rinunciamo alla militanza civile. La lotta sarebbe dirlo alla MCR ma crediamo sia più rivoluzionario mantenere un pensiero critico. Lottiamo contro indifferenza, intolleranza e stupidità, ma non lo facciamo da un pulpito.
“Non servono parole per capire i pensieri”: ne sei proprio sicuro?
No. Quella frase è in un discorso di nubi pesanti sull’orizzonte. Penso che le parole siano importanti e fondamentali, distinguono l’umanità dal resto delle razze umane. La parola e l’ascolto non devono mai mancare.
In numerosi testi compare la parola storia, intesa soprattutto come storie da raccontare: abbiamo grossi problemi con la memoria? In primis quella storica? “Chi muore ama tacere ma la sua storia parla per lui”: ha una accezione positiva, di recupero, oppure negativa di pagine di vita che dovrebbero morire con chi le ha scritte?
Va verso il positivo. Il grande potere della storia è la narrazione, dunque non solo quella dei libri che subiscono la sintesi e la discrezionalità del periodo e di chi le scrive. Bisogna fare tesoro del passato e utilizzarlo per migliorare il nostro presene e abbracciare un futuro coerente con i nostri valori. Per noi è fondamentale l’esercizio della memoria come atto di resistenza ma anche come gesto creativo.
“Ogni tua stagione” è la canzone più resistente, per me: possiamo dire alla fine che abbiamo ancora gli occhi pieni di avventura?
Sì. Noi come MCR senza dubbio, soprattutto come padri perché nei nostri figli vediamo il desiderio di avventura ci ha portato qui. C’è bisogno di esplorare, conoscere e abbracciare mondi vicini e lontani. Quegli occhi speranzosi li vediamo in ragazzi molto giovani che sono ai nostri concerti e sono spinti ad approfondire certi temi, penso al brano “Cento Passi”. Non siamo professori ma la curiosità può diventare un interesse ad approfondire ed è bello sapere che certi approfondimenti sono innescati dall’ascolto di una canzone.
Che accadrà nelle prossime settimane dei Modena?
Vogliamo suonare tanto fino a dopo l’estate. A ottobre abbiamo ci sarà una appendice all’estero. Poi c’è un altro progetto discografico per il quale qualche registrazione c’è già ma ne parliamo più avanti, coinvolge anche altre persone.
Infine ti chiedo come procedono i tuoi progetti extra MCR.
Ho un disco registrato appena finita la pandemia che non è ancora uscito e che vorrei pubblicare entro l’anno. Da solista è il mio secondo dopo il primo del 2008. Poi c’è una idea con Dudu e due dei Nuju per il quale dopo l’estate lanceremo il crowfunding.

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