Bruce Springsteen, annunciato un libro sulla realizzazione di Nebraska

Musica

Manuel Santangelo

Foto ad opera di Danny Clinch

Warren Zanes a maggio farà uscire Deliver Me From Nowhere: The Making of Bruce Springsteen's Nebraska. Un volume che vuole ripercorrere la storia dell’album più intimo e forse inizialmente sottovalutato del Boss, che qui mostrava con coraggio tutti i fantasmi che lo tormentavano all’inizio degli anni Ottanta

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Nebraska non era nato per essere un successo, registrato in fretta e furia quasi in maniera casereccia da Bruce Springsteen. Leggenda vuole che fu difficile riversare quella musica su disco, quasi si rifiutasse di arrivare a tutti. Persino le radio che avevano incensato il precedente album del Boss, The River, opposero resistenza all’idea di programmare pezzi di quel lavoro che c’entrava così poco con gli anni Ottanta. Eppure, quaranta anni dopo, Nebraska è riconosciuto dal proprio autore come “il suo disco migliore” e continua ad affascinare pubblico e critica. La tormentata storia di questo capolavoro si appresta ora a diventare non a caso un libro, scritto da quel Warren Zanes già autore di Petty: The Biography su un’altra leggenda del rock come appunto Tom Petty.

Qualcosa non andava

Deliver Me From Nowhere: The Making of Bruce Springsteen's Nebraska uscirà il 23 maggio 2023 negli Stati Uniti ed è stato presentato dal suo autore come il racconto di un’opera unica, uno di quei dischi che “rimangono con te” per sempre. Secondo Zanes, Nebraska ci riesce perché “come nessun altro album rivela sempre nuove verità. Pur essendo imperfetto, incompiuto, pieno di vita e di problemi”. Questo lavoro del 1982 rifletteva proprio le difficoltà di Bruce Springsteen, nel pieno di un periodo complicato nonostante da fuori tutto sembrasse andargli a gonfie vele. “Debiti estinti, carriera ben avviata: c’erano tutti i presupposti per una vita libera e facile, peccato che io non sia una persona libera e facile”, dirà in proposito la rockstar nella propria autobiografia. La sua creatività stava conoscendo un autentico picco e sembrava che per lui produrre canzoni fosse facile quasi come respirare. Tutti avevano amato The River, nessuno si era lamentato della sua lunghezza nonostante si trattasse di un doppio album. Probabilmente la gente lo avrebbe apprezzato anche se Spingsteen alla fine avesse deciso di mettere in quel lavoro tutte le quasi quaranta canzoni che aveva scritto durante le registrazioni. Eppure il cantante non era affatto sereno, si trovava anzi quasi sull’orlo di una crisi di nervi che avrebbe confessato solo qualche decennio dopo. Tanti hanno parlato di Nebraska come del disco più dark della carriera di Springsteen quando forse era solo il più triste. Il mondo del Boss era in bianco e nero, come la foto sulla copertina, senza colori. I fantasmi che emergono da quelle canzoni scarne e spoglie negli arrangiamenti erano quelli del Boss.

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Come un film in bianco e nero

 “I fantasmi di Nebraska provenivano dalle strade dove ero cresciuto. La mia famiglia, Dylan, Woody, Hank, i racconti gotici di Flannery O’connor, i romanzi noir di James M. Cain, la sobria violenza dei film di Terrence Malick…”, confesserà il cantante. La rabbia giovane (in originale Badlands, come una hit di Springsteen) era probabilmente la pellicola di Malick che meglio raccontava le emozioni alla base di Nebraska. L’album conteneva tutti i riferimenti dell’autore di Born to Run, inserendo tra le pieghe riferimenti a icone del cinema come James Dean o a scrittori come Faulkner. Forse ha ragione la casa editrice di Deliver Me From Nowhere: The Making of Bruce Springsteen's Nebraska quando si spinge a dire che l’album “è senza dubbio il disco più importante di Springsteen, se cerchi di capire non solo la carriera dell'artista e la visione che ci sta dietro, ma anche l’uomo”. Quest’opera è davvero “l’indizio principale” per capire il Boss e lo è nonostante il disco sia sostanzialmente una raccolta di racconti. Ogni canzone restituisce un microcosmo ed è il ritratto di un personaggio che potrebbe facilmente incontrarsi con quello del pezzo successivo. Eppure ogni protagonista è un pezzo del puzzle Springsteen, una toppa che aiuterà a cucire la sua coperta, anche quando si tratta di un ergastolano (come in Johnny 99) o di una persona ossessionata in maniera malata da James Dean (si veda la title-track).

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Un album fatto in casa

Bruce Springsteen decise di raccontare ogni storia in prima persona, costruendo una collezione di istantanee che andavano solo sviluppate. Per farlo, l’artista decise di seguire un iter non tradizionale, che non facesse perdere a quelle canzoni la sensazione di essere resoconti personali. Springsteen chiamò il tecnico del suono  Mike Batlam e gli chiese di consigliargli le attrezzature perfette per poter registrare tutto da solo: voleva un suono intimo, un disco che si capisse che era davvero suo fino al midollo. Con mille dollari mise su un mezzo studio in camera da letto e, in un paio di giorni, registrò tutto. Il 3 gennaio Nebraska era già pronto, anche se la rockstar si tenne quella musica nella tasca della giacca un bel po’ prima di decidere di consegnarla al produttore Toby Scott. A quest’ultimo le canzoni arrivarono solo ad aprile.

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Un lavoro che cresce con il tempo

Springsteen inizialmente voleva che venisse riversato sul vinile proprio quello stesso suono che lui aveva registrato. Peccato che, un po’ per come era nato l’album e un po’ forse anche per come era stata conservata quella musica, sembrava difficile esaudire il suo desiderio. Nebraska fece quasi resistenza a uscire dalla sua dimensione casalinga e intima, prima di venire pubblicato. Era un disco destinato a restare un culto per pochi, tanto è vero che venne sostanzialmente ignorato anche dalle medesime radio che avevano amato alla follia The River. Anche lo stesso autore non si spese troppo per promuoverlo davvero, rinunciando anche a portare il disco in tour dopo il giro del mondo di The River. Alla fine anche il Boss tornò dopo questa parentesi alle atmosfere dei suoi giorni migliori, recuperando l’atmosfera dei suoi grandi successi mainstream con Born in the USA, uscito solo due anni dopo. Nebraska venne a lungo quasi dimenticato, costretto a essere considerato un capitolo minore nella discografia della rockstar. Eppure Springsteen non ha mai davvero smesso di amarlo e quelle suggestioni periodicamente sono tornate nel suo lavoro in seguito, a partire da capolavori come  The Ghost of Tom Joad (che citava non a caso il protagonista di Furore di John Steinbeck). Nebraska era un ufo, un’inspiegabile incongruenza nel mondo colorato ed eccessivo di quel decennio, ma quarant’anni dopo ha trovato il suo posto nel mondo. Forse anche perché il luogo che abitiamo è oggi più simile che mai al Nebraska di Bruce Springsteen.

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