L'appuntamento è venerdì 28 gennaio, ore 20 (replica domenica 30 ore 15.30): l’opera è diretta da Jordi Benacer. La regista Silvia Paoli colloca la vicenda negli anni Sessanta, all’interno della prigione dove don José attende la condanna
Passioni, tradimenti, libertà, gelosia e morte. Carmen, forte e anticonformista. Carmen che muore per mano di Don Josè, uomo incapace di accettare la fine della loro passione. Carmen tragicamente moderna, anzi attuale.
La Stagione di Opera della Fondazione I Teatri Reggio Emilia propone venerdì 28 gennaio, ore 20 (replica domenica 30, ore 15.30), l’opera di Georges Bizet, che manca dal Teatro Municipale Valli da 26 anni, nella coproduzione tra Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. L’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini sarà diretta da Jordi Bernacer, Resident Conductor all’opera di San Francisco Opera, la regia sarà di Silvia Paoli, che firma per la prima volta la messinscena di quest’opera, con le scene di Andrea Belli i costumi di Valeria Donata Bettella, le luci di Marcello Lumaca, i video di Francesco Corsi, le coreografie di Carlo Massari/C&C Company. In scena, Martina Belli (recita del 28) e Ramona Zaharia (recita del 30) saranno nel ruolo di Carmen, Arturo Chacon Cruz (28 gennaio) e Azer Zada (30 gennaio) saranno Don José, Marco Caria (28 gennaio) e Alessandro Luongo (30 gennaio) saranno Escamillo e Laura Giordano (28 gennaio) e Veronica Marini (30 gennaio) saranno Micaëla. Giovedì 27 gennaio, alle ore 18.30, al Ridotto del Teatro Municipale Valli “Aspettando Carmen”, incontro con Alberto Mattioli, giornalista e critico musicale. Prenotazione obbligatoria a biglietteria@iteatri.re.it e al numero 0522 – 458854 (il lunedì dalle 9 alle 13).
“In questa messa in scena c’è, in particolare per me, la rivelazione di come anche questa sia l’ennesima storia di una donna vista attraverso gli occhi degli uomini”, spiega la regista Silvia Paoli, che ha firmato opere come Cenerentola, a Tenerife, Le Nozze di Figaro e Capuleti e Montecchi poi ripresi al Comunale di Bologna, Turandot per AsLiCo, Vent du Soir e Il Barbiere di Siviglia a Firenze, The Moth Princess in Oman, Otello per Progetto 200.com a Como, Enrico di Borgogna a Bergamo.
“Tutta la vicenda è in realtà una soggettiva, è la confessione di un condannato a morte, e quello che viene raccontato si svolge attraverso due morti, quella avvenuta di Carmen e quella decretata di Don José – prosegue Silvia Paoli - Mi è sembrato dunque importante concentrare l’attenzione sul fatto che Carmen non esista in realtà se non attraverso le parole del suo assassino e che quindi il vero protagonista della vicenda sia Don José, colui che porta avanti l’azione. Non sappiamo nulla di Carmen che non sia in relazione a lui, Carmen non cambia, Don José si trasforma in nome di una passione (che mi guardo bene dal chiamare amore) vissuta in maniera ossessiva, malata, che lo porta a non tollerare l’idea di non poter più possedere quello che vuole; una storia che potremmo benissimo leggere anche oggi sulla cronaca di qualsiasi quotidiano. Ho pensato quindi a una prigione e all’intera vicenda non tanto come un flashback quanto piuttosto a un ricordo ossessivo di Don José che rivive dalla sua cella l’incontro con Carmen e l’epilogo tragico della sua storia, raccontandoselo e deformandolo attraverso l’immaginazione, il proprio punto di vista. La memoria affiora dalla scatola degli oggetti personali e quindi il fiore, la foto di Micaela, un ritaglio di giornale, della sabbia in una scarpa, che rievocano spazi e situazioni. L’immagine di Carmen e della loro storia è così assillante che Don José arriva a confondere la realtà con la memoria, tanto da deformare perfino il quotidiano, in una spirale che lo condurrà ad immedesimarsi con ciò che ricorda, a vivere continuamente fra sogno e veglia senza quasi più poterli distinguere. Essendo gli anni Sessanta un periodo in cui per le donne comincia a realizzarsi un processo di emancipazione (ricordo che in Italia il reato di adulterio è stato abolito nel 1968 e il delitto d’onore solo nel 1981) e si mettono in discussione i pilastri del patriarcato mi sembrava giusto collocare la vicenda in quegli anni, dove il sogno di molti uomini continua ad oscillare fra la moglie devota e l’amante lasciva (la Santa e il demonio, Micaela e Carmen) ma per “il sesso debole” si aprono prospettive di crescita e ribellione. In tutta l’opera le donne vengono considerate alla stregua di una merce, vanno pagate, esistono in quanto sigaraie (donne facili e leggere) o per distrarre doganieri con sorrisi e parti del corpo; è un occhio maschile quello che guarda, la realtà è filtrata, è un uomo che parla. Sono convinta che per parlare di femminicidio senza retorica sia necessario più che mai che Carmen muoia; chiamare chi l’ha uccisa non “amante tradito” o “fidanzato geloso” ma assassino e metterlo in prigione è un modo per rendere giustizia a Carmen e a tutte le donne che vogliono essere loro stesse, a prescindere dai desideri degli altri”.
Info e biglietti: www.iteatri.re.it