Cinque storie vere, nate in viaggio, che vengono dal (pro)fondo dell'anima. La giovane artista lombardo-marchigiana si presenta con un Ep di grande suggestione. L'INTERVISTA
Immaginatevi di essere a un crocicchio. Ci sono frecce che indicano la Scozia, l'Irlanda, la Lombardia, le Marche...l'infinito. E vedete, a fianco a voi, una ragazza dal sorriso, lo sguardo e i capelli botticelliani, con la chitarra e la bussola impazzita perché non sa dove andare, può solo seguire il cuore. Non abbiate dubbi, avete incontrato Taléa, all'anagrafe Cecilia Quaranta, da poco uscita con l'Ep Tales. Cinque brani che sono altrettanti racconti brevi. Nella stagione in cui il sogno è volare su Marte, Taléa il suo germoglio lo innesta fieramente nel ventre della madre Terra. Spesso ho parlato di una generazione di ventenni consapevoli, motivati, responsabili...beh Cecilia è una di loro.
Cecilia partiamo dalla storia dell’Ep: quando nasce e come scegli i brani?
Nasce in Scozia, Irlanda e nell'ultima fase in Italia. Ho scelto questi cinque perché sono i più significativi. Nasce in Scozia Song in the Dark perché lì ci sono un buio e luce così diversi dai nostro. Burden è per un caro amico che si è tolto la vita e avevo bisogno di mettere giù qualcosa, ero lontana e non avevo le armi per gestire l'accaduto. Nathan è un mio amico d’infanzia affetto d’autismo, racconto una amicizia bella che merita attenzione. Dancing Mind evade da tutte le regole che mi auto-infliggo ma in quaratena dovevo uscire dai miei recinti. Infine Riding Home che nasce per caso in Scozia girando e andando ad ascoltare musica nei pub.
Talèa e Tales sono quasi onomatopeici…
Sono cinque storie e dunque era giusto chiamarle Tales poi hai ragione che a livello grafico ci siano somiglianza e assonanza.
Quanto essere anche artista di strada ha contribuito alla tua formazione?
Tantissimo, perché quella cosa lì ti regala una visione della musica totalmente diversa. Fin da bambina pensavo fosse bellissimo suonare per strada e quando lo ho fatto è stato per me realizzare un sogno nel cassetto. La musica e la strada sono di tutti, ogni persona che passa è uno stimolo e ti restituisce un feedback veloce, immediato e puro.
L’album è nato metà in Irlanda e metà in Scozia: cosa distingue le due anime?
Credo che quello che ho vissuto nei viaggi si sia sedimentato ed esca nella scrittura senza volerlo.
Quando Cecilia è diventata Taléa?
Il giorno in cui ho deciso che sarebbe stato il nome era già cambiato qualcosa, poi con uscita dell'Ep è diventato reale. E’ il mio primo lavoro, ci tengo molto, è un grande traguardo che accompagna il cambiamento in me.
Hai trovato risposta se quelli là fuori hanno trovato se stessi o continuano a incolpare altri?
Non ancora e forse non la troveremo mai. Ma è un quesito da porsi ogni tanto anche se non ci sarà risposta, ma è utile per analizzare quello che c’è intorno.
Alla fine meglio cambiare faccia o scarpe?
Assolutamente le scarpe. La faccia può essere comodo variarla ma è meglio essere coerenti con quella che si ha. Magari ne fai ruotare un po' ma quando identifichi quella giusta non va più cambiata.
Scrivi al buio per paura delle tue paure…il prossimo album sarà scritto sotto il sole?
Il buio è molto bello, spinge a cercare risposte non solo con la vista ma anche con altri gli altri quattro sensi. Il buio è molto prezioso, ci aiuta a usare altre sensibiltà. Chissà, magari prossimamente scriverò anche alla luce del sole.
Song in the dark è anche uscire dalla comfort zone: ci sei riuscita?
Sì, anche grazie alle persone che ho incontrato, tra cui Marco Olivotto che ha curato la produzione artistica (menzione speciale anche per il batterista Luca Martelli e la fotografa Francesca Tilio, ndr). Mi hanno aiutata a capire che la collaborazione è importante e per me è stata una svolta essendo abituata a lavorare da sola.
Descrivi la taverna dove germoglia la tua musica.
Piccolina e rumorosa. Ci scrivo, faccio musica, ho lì tutte le mie cose. Per ora va bene ma spero di avere presto uno spazio tutto mio ovattato dai piani superiori.
Il tuo primo concerto di presentazione a Senigallia è stato una emozione forte?
E' tanto che suono nei pub e nei locali della zona ma sapere che c’è gente che paga è una grande responsabilità, cambia la concezione perché la gente non è distratta, viene per te e tu devi donarle uno spettacolo. Devi intrattenere, per fortuna c’è un po’ di mestiere che aiuta ma occhio a non essere sopraffatti dalla commozione. Io sono istintiva, dopo le prime due canzoni vado come un treno.
So che ti senti un po’ figlia di Bob Dylan e Joan Baez: non credi ci abbiano venduto una illusione promettendo un mondo che non è mai cambiato?
Non mi sento tradita, quella è la fotografia di un periodo storico. Hanno fatto benissimo a esporsi e a urlare quello che pensavano. Mi piacciono molto le storie di Dylan, con 5 parole ti porta in un mondo: spesso mi chiedo come ha fatto a trasferirmi così tante emozioni in un grumo di parole. Io sono attenta ai testi, non mi arrabbio con loro neanche per gli errori che hanno fatto. Sta a noi prendere da ogni forma d’arte quello che ci piace e che trasmette.
Cosa significa per te Riding Home? Quale è il tuo senso di casa?
Non lo ho ancora trovato. Il primo giorno all'aereoporto di Edimburgo, quando ho preso il taxi verso il centro, guardandomi attorno ho pensato che quella era la mia gente, forse avevo un collegamento con una vita passata. Lì c’è qualcosa che mi chiama e mi fa stare bene, ma a 23 anni posso viaggiare ancora tanto e capire quale sarà il mio posto nel mondo: l'idea di vedere cose nuove mi fa pensare che un posto c’è e un giorno la troverò. L’appartenenza mi manca da sempre.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Sto suonando molto per promuovere Tales, ora vorrei andare a fare qualche live in zona Milano. Sto continuando a scrivere e realizzare l'Ep è stato impegnativo. Ma sto già pensando al prossimo. Sto provando a scrivere in italiano, una bella sfida da affrontare per me. Ma sono felice!