Stefano Di Battista omaggia il Premio Oscar con Morricone's Stories

Musica

Fabrizio Basso

Il disco è un tributo al grande compositore. Un matrimonio perfetto tra jazz e una selezione tra le oltre 500 colonne sonore morriconiane: da film come “C’era una volta in America”, “Il buono, il brutto e il cattivo”, “The Mission” e “Veruschka” fino al brano “Flora” che il Maestro scrisse per il jazzista. L'INTERVISTA

La musica di Ennio Morricone rappresenta l'emozione. Il Jazz è l'espressione dell'emozione. Stefano Di Battista, con Morricone's Stories, ha fatto incontrare questi due mondi e dalla loro unione è nata la musica dell'anima. La tracklist scelta per il disco mostra quanto non sia necessario attingere unicamente ai colossi dell’immaginario cinematografico per entrare nell’universo morriconiano: Stefano Di Battista ha voluto includere nel suo progetto film ritenuti marginali oppure dimenticati come Veruschka e Cosa avete fatto a Solange? Un

repertorio ancora tutto da scoprire, basti dire che Morricone di film ne ha fatti

più di 500.

Stefano partiamo dall’idea: quando è nata?

Ho avuto la fortuna di incontrare il Maestro alla festa di un mio caro amico, Stefano Reali, che non smetterà mai di ringraziare, diversi anni fa in occasione del suo primo premio alla carriera. Molti gli avevano parlato di me e ho notato che lui testava la mia socialità: gli ero simpatico anche per il mio essere periferico. Mi ha chiesto se avevo portato il sax e che mi avrebbe scritto un brano: c’è stato il gelo perché è raro, soprattutto in un cena.
Come ha proceduto?
Scrive su un pianoforte, su carta pentagrammata: io sbirciavo e vedovo note sempre più alte fino al Fa naturale che è la più alta del sax. Poi si è messo al piano e sul gioco ottava sopra e dell'ottava sotto è scattata la simpatia. Gli ho accennato della mia e idea e mi ha detto di lasciare perdere un disco sulle sue musiche, timoroso e imbarazzato per la troppo libera interpretazione. I jazzisti sono molto liberi, lui era più rigoroso. Poi mi invitò a casa sua e abbiamo mangiato sul letto. Per il mio disco ho ricevuto i complimenti dal figlio, lui purtroppo non lo ha sentito. Posso aggiungere che l'idea è nata quasi per gioco e ho accettato questa scommessa.
Uno dei momenti emotivamente più intensi credo sia Flora, il brano che ha scritto per te: mi racconti la storia?

Lo ho dedicato a mia figlia, la mia cosa più bella. Lo ho pensato come suonato con lui. Non mi sembra neanche mio, Morricone's Stories è il disco di tutti che si è fatto da solo. Mi rende fiero, c’è qualcosa di magico, sono stato bravo nel placare il mio entusiasmo, quando lo preparavo a Parigi il mio cervello era popolato da musicisto che volevano interpretare la sua musica eppure mi ci sono approcciato in maniera essenziale. Per Veruschka in testa avevo Stan Getz, per Novecento musicisti più moderni; C’era una volta in America non è stata facile, io ero affascinato dalla vita sgregolata. Quella è musica magica e inanalizzabile. Ho avuto riscontro col sax perché in studio mi sentivo in un mondo che superava il film, molto potente. Lui superava il film.
Hai guardato le immagini per costruire la tua musica o hai seguito il ricordo?
Novecento  lo ho rivisto, anche un po’ Veruschka e di Paura sulla città per Peur sur la ville…ma non tutti e 12 per bene, non volevo condizionare troppo il mio punto di vista. Più ci pensavo e peggio era, serviva distacco. Era come essere tornati bambini: rispettare regole mettendoci del tuo. Ho analizzato ogni singolo accordo e nota per poi dementicare: lla regola era studiare per poi dimenticare.
Come cambia l’approccio compositivo quando si lavora per immagini?
La fantasia non ha limiti, le immagini sono uno schema che ti guida.
E’ stato difficile replicare il fischio?
All’inizio mi veniva da ridere, ma poi ho ritenuto che fosse sbagliato non mettere l’elemento distintivo. Il fischio è il mio, ho imparato a farlo.
Come hai scelto i tuoi compagni di viaggio il pianista Fred Nardin, il contrabbassista Daniele Sorrentino e il batterista André Ceccarelli?
Fred Nardin mi è stato segnalato dal mio staff francese. Sono affascinato dai giovani che iniziano questo mestiere, ho voluto conoscerlo e mi è piaciuto subito. E' libero di testa ma disciplinato. Daniele Sorrentino mi ha portato un po’ di napoletanità, sono affascinato dalla loro voglia di esistere e vivere e dalla gioia e dall’intonazione imbarazzante che ha sullo strumento, la sua rapidità di esecuzione. André Ceccarelli è il papà del gruppo, ha messo tutti d’accordo col ritmo, è il sanguigno che tiene tutto sotto controllo; in Metti una sera a cena ha usato le spazzole che sembrava montasse la maionese.
C’è un suo film nel quale avresti voluto essere attore?
C’era una volta in America nella parte di De Niro, mi intrigava il suo ruolo da cattivo che poi prova a diventare perbene.
E’ il preludio a un secondo album visto il tanto materiale?
Non si può dire perché non ti permette il controllo delle emozioni. Dopo venti brani mi sentivo come svenuto. Pensa che ne ha fatti più di 500 cui vanno aggiunti quelli mai sentiti.
Come spiegheresti a un adolescente cosa è il jazz?
E' la musica della parte interiore di ognuno di noi. Ci si contraddistingue tra la gente per la costante ricerca di una originalità, per la voglia di aprire il cuore a se stesso e alle proprie emozioni. Chi ci si appassiona è gente interessante come pensiero e stile di vita. Scopri anche cose divertenti: dai 14 anni in poi un ragazzino ne può rimanere attratto come è accaduto a me che arrivavo dalla borgata e non lo conoscevo ma quando lo ascoltavo sentivo i brividi e non avevo una risposta. Il jazz è scoprire se stessi.
A quali altri progetti stai lavorando?
Per passare un po’ di tempo faccio il contadino e non è male. Poi ho un film in uscita dove ho fatto l'attore e le musiche. Unoltre si parla dell'indimenticato Massimo Urbani.

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