Il 15 ottobre 1970 usciva uno dei 45 giri più importanti della storia della musica italiana: un viaggio introspettivo e delicato nella malinconia e nella solitudine di ogni uomo, con un testo memorabile che è entrato nell'immaginario collettivo
I primi quattro versi di Emozioni sono un pilastro della letteratura italiana del Novecento. La prima immagine suggerita da Mogol e Battisti nei due versi iniziali, seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi/ritrovarsi a volare, è un'immagine di libertà e armonia con la natura e con sé stessi. Anche il terzo verso sembra prolungare questa sensazione di pace: e sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare. Ascoltare è un verbo transitivo, raramente lo si trova senza il complemento oggetto, e la struttura della strofa dà la certezza che tra poco, nel quarto verso, scopriremo cos'è che sta ascoltando Lucio Battisti, cos'è che gli dà tutta questa felicità mentre è sdraiato sopra l'erba. Una rondine? L'acqua del fiume? Chopin? Le campane di una chiesa in lontananza? Fin qui le parole sono scivolate via piuttosto velocemente: invece a questo punto Emozioni fa una pausa di due secondi, si sente per la prima volta un suono di violini che copre la chitarra, dopo di ché Battisti e Mogol ci infliggono la prima delle tante coltellate di cui è costellata la canzone. Un sottile dispiacere. Sicuramente non è facile ascoltare qualcosa di sottile, un aggettivo qualificativo che coinvolge la vista e il tatto, non certo l'udito. Va bene, in senso figurato alcuni rumori possono anche essere sottili, nel senso di deboli, tenui: ma che suono fa precisamente un sottile dispiacere? Sembra più una fitta nell'anima, un inciampo inspiegabile in un momento in cui ci si è appena dichiarati felici, proprio com'è razionalmente inspiegabile che, seduti su un prato, si possa ascoltare un sottile dispiacere. Di colpo Emozioni sveste i toni da documentario del National Geographic per diventare quello che è davvero, un viaggio illustrato in tutte le regioni della tristezza, della malinconia, dell'angoscia. Regioni che tutti noi abitiamo tutti i giorni, anche solo per pochi minuti: Battisti e Mogol le fermano su carta e riescono nell'impresa gigantesca di descriverle con quest'unione miracolosa di musica e parole.
Il 21 giugno 1970, primo giorno d'estate, mentre tutto il Paese trepida per la finale dei Mondiali Italia-Brasile di lì a poche ore, Lucio Battisti e Mogol partono per un lungo viaggio a cavallo da Milano a Roma: "Lo spirito è quello di provare a noi stessi che possiamo farcela”, spiega Battisti a Sorrisi e Canzoni per cui terrà un diario settimanale, “e quello di godere, senza preoccupazioni, di un vero contatto con la natura, per curarci un po' delle malattie della nostra vita di lavoro, di fretta, di angosciosa corsa contro il tempo". È già il Battisti insofferente alle banalità e ai luoghi comuni che lo riguardano, così come i fastidiosi tentativi di etichettarlo politicamente: preferisce dormire in sacco a pelo dove capita, battere i sentieri, i boschi, i viottoli di montagna, le spiagge - “qualche volta, ma è raro, incontriamo una striscia d'asfalto...”. Ad agosto, ritemprato nello spirito, progetta un tour di dieci tappe tra Rimini, Marina di Pietrasanta e Sestri Levante (sarà anche il suo ultimo tour) e vince il Festivalbar con Fiori rosa fiori di pesco. Nel frattempo le esperienze del viaggio sono sedimentate e hanno portato in superficie “quella tensione intima, quei passaggi bruschi, sospesi in aria, per esprimere meglio il senso di scoperta, di stupore, di libertà che abbiamo provato io e Giulio avventurandoci per prati, colline e fiumi, come se vedessimo la natura per la prima volta". Suona il pezzo alla chitarra davanti a Mogol un paio di volte, poi dieci, poi venti. Poi incide la composizione su un nastro e lo consegna all'amico, fedele alla procedura di sempre: prima la musica, poi le parole.
In due atti
Mogol scrive il testo in due momenti ben distinti. Il primo d'impulso, in un attimo di introspezione mentre si trova nella sua casa di campagna a Molteno, vicino Lecco. La seconda in macchina, una Fiat 500 Giardiniera Legno su cui sta andando a Genova con i figli e la moglie. Essendo al volante, non può prendere appunti né ha modo di riascoltare il nastro: quindi è costretto a ripetersi silenziosamente le frasi in testa per decine di volte per impararle a memoria, e stiamo parlando delle frasi che compongono uno dei testi più belli della storia della musica italiana. Attimi di grande tensione, col senno di poi... Arrivato a casa, corre a perdifiato nella camera dei bambini, si butta su un lettino e mette finalmente per iscritto quello che ha in mente. Forse è a causa di un parto così complicato che vengono fuori quei versi irregolari, troppo lunghi o troppo corti, quasi sempre irrispettosi della metrica, a cui la melodia di Battisti dovrà adattarsi, forse guadagnandoci in fascino e mistero. Secondo Pietruccio Montalbetti, chitarrista e frontman dei Dik Dik, Battisti non rimane entusiasta della primissima versione del testo: “L'inizio è perfetto, ma poi si perde in parole usuali. Io vorrei che tu cambiassi il senso e provassimo a dare una vera emozione”.
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Buona la prima
Per contrappasso alla difficoltà di portare allo scoperto quel turbinio di sensazioni e suggestioni esistenziali, la registrazione di Emozioni è molto semplice. Avviene nel settembre del 1970 negli studi milanesi della Ricordi in via dei Cinquecento, quartiere Corvetto, un ex cinema parrocchiale trasformato in artigianale sala di registrazione, con il mixer incastrato tra le sedie della platea. Questa è la formazione: Battisti voce e chitarra, Franco Mussida alla seconda chitarra, Damiano Dattoli al basso, Franz Di Cioccio alla batteria, Flavio Premoli a tastiere e tamburello. Attorno a loro un'orchestra di oltre cinquanta elementi diretta da Gian Piero Reverberi. L'eccezionalità di Emozioni fa sì che la prima versione sia quella buona. Prima di iniziare, Battisti viene avvicinato da Mogol che ci tiene a canticchiargli all'orecchio quella che per lui dovrebbe essere la canzone “definitiva”. Com'è noto, Mogol è stonatissimo: ma tra i due esiste da tempo una di quelle connessioni spirituali che non si possono spiegare razionalmente. Ascoltata la versione dell'amico, Battisti fa spegnere la luce e inizia a cantare con un filo di voce, Mussida di fianco e l'orchestra alle spalle. Come si legge ne L'arcobaleno, biografia battistiana scritta nel 2000 da Gianfranco Salvatore, “la canzone iniziò, volò, planò, finì. Non la suonarono mai una seconda volta. Lucio semplicemente si alzò e rientrò nella sala regia con gli occhi lucidi. Tutti quanti, nello studio, erano commossi”.
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Un miracolo
A distanza di cinquant'anni, ancora oggi l'ascolto ripetuto di Emozioni tocca corde lontane e profondissime e fa riflettere sul miracolo di una combinazione così felice tra parole e musica. Dove per “musica” non s'intende solamente la composizione originale, già ricchissima di invenzioni d'arrangiamento, ma anche l'esecuzione di quelle note. Per esempio, il batterista Franz Di Cioccio, futuro fondatore della PFM insieme a Premoli e Mussida, raccontò della grandissima responsabilità che sentiva al cospetto di un pezzo del genere: “Sapevo di dover entrare dopo che Battisti aveva cantato ‘come la neve non fa rumore’, mi chiedevo come fare per non rovinare quell’atmosfera - scelsi di dare solo alcuni colpi con le bacchette attutite con il feltro”. La celeberrima introduzione di venti secondi, invece, era tutta farina del sacco di Battisti, suonata con una chitarra classica con corde di nylon a cui, leggermente più sotto, fa da contrappunto una chitarra acustica con corde di metallo suonata da Mussida. Piccola annotazione tecnica: la parte iniziale non va eseguita al primo tasto, come molti credono, ma al settimo.
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E così da cinquant'anni, almeno una volta nella vita, tutti noi ci siamo chiesti: di cosa parla esattamente Emozioni? L'analisi più superficiale parte da una lunga serie di metafore suggestive, alcune entrate di diritto nell'immaginario collettivo italiano come “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere/se poi è tanto difficile morire”. E sembra esserci una seconda persona a cui Battisti si rivolge invano, essendo tutte quelle emozioni incomunicabili: “capire tu non puoi”. È un sommesso grido di dolore per un amore non corrisposto da un'altra persona che non capisce il sentimento che si prova per lei – interpretazione più amara, comunque nient'affatto estranea ai testi di Battisti e Mogol? Oppure quel “tu” è un tu generico e Battisti parla di sé stesso, mettendo in musica la sua inquietudine esistenziale? È questa la versione più accreditata, ribadita più volte da amici, colleghi e conoscenti di Battisti: una presa di coscienza della propria condizione, acuita dal ritorno alla natura che provoca per la prima volta, dopo anni di rumore e stress, quel sottile dispiacere di capire che si è soli al mondo, ed è impossibile trasmettere agli altri ciò che proviamo nel nostro intimo, inspiegabile persino a noi stessi: “stringere le mani per fermare qualcosa che/è dentro me/ma nella mente tua non c'è”.
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Il successo
Il 15 ottobre 1970 viene messo in commercio il 45 giri: Emozioni dovrebbe essere il pezzo trainante sul lato A, mentre sul lato B compare Anna, canzone dal sound molto più violento e aggressivo, con uno strepitoso break di batteria finale da 72 battute di Franz Di Cioccio rimasto nella storia della musica italiana, che come singolo venderà molto di più (sarà il sesto singolo più venduto del 1970, mentre Emozioni solo il 69°). Ma il disco, naturalmente, è un successone e rimane al numero 1 dal 28 novembre 1970 al 9 gennaio 1971. Dice la leggenda che l'amico Gianni Boncompagni avrebbe suggerito di invertire le tracce e mettere Emozioni sul lato B, come per proteggere un fiore così delicato che verrà eseguito in televisione solamente due volte, entrambe in playback. La prima andrà in onda la sera di Capodanno del 1971, in uno show musicale condotto da Ornella Vanoni che è anche l'unica versione mai trasmessa dalla RAI. La seconda, passata alla storia come “video della draga”, sarà trasmessa dalla Televisione Svizzera il 15 maggio 1971: Battisti canta e suona seduto su un battello, probabilmente su un lago. Ma se vogliamo, possiamo aggiungerci anche la parte finale del famosissimo medley eseguito dal vivo con Mina nella trasmissione Teatro 10, il 23 aprile 1972.
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"Wait a minute"
"Credo fosse nel '70, anzi ne sono sicuro”. L'aneddoto finale su questa lunga storia di Emozioni porta Mogol e Battisti oltre Manica, a Londra, negli uffici di una qualche casa discografica. È lo stesso Mogol ad averlo raccontato più volte: “Incontrammo per caso Pete Townshend degli Who. Lucio lo aveva riconosciuto, me lo indicò. Gli facemmo ascoltare Emozioni, io pensavo che fosse lenta per i canoni anglosassoni e che non gli sarebbe piaciuta. E invece Townshend disse: 'Wait a minute', e quando tornò c'era un codazzo degli impiegati delle edizioni, tutti molto giovani, a cui chiese di ascoltare, e mentre Lucio cantava lui leggeva la versione in inglese da un foglio... Disse: 'È fantastica'”. La musica di Battisti avrebbe potuto sfondare anche sul mercato anglosassone? Il cantante rifiutò sempre le offerte dei discografici inglesi e americani, che richiedevano per sé il 25% dei profitti, percentuale ritenuta eccessiva. Una questione di principio perfettamente coerente col suo personaggio poco disposto a compromessi. E qui finisce la storia di una delle più grandi canzoni della musica italiana, centellinata dall'autore come un oggetto di cristallo, mai eseguita dal vivo in tv, mai eseguita in generale davanti a un pubblico, baciata dalla grazia del “buona la prima” in studio di registrazione: la più grande emozione di Emozioni è scoprire che Battisti l'abbia suonata e cantata per davvero solo una volta nella vita.