Coldplay vs Muse, ecco perché scelgo i Muse

Musica

Francesca Baraghini

A 20 anni dall'uscita di "Parachute", il primo album dei Coldplay, torna d'attualità la sfida tra due dei gruppi più rappresentativi degli anni Duemila

Diciamo che tra un mondo pieno di colori e tante belle frasi, preferisco un mondo spettacolare e con qualcosa da dire: questa è la differenza che c’è tra i Coldplay e i Muse. Soprattutto quando li ascolti dal vivo. Non sono fan di ciò che mi sembra una trappola emotiva, canzonette da innamoramento e tormentoni, a me piace quando si spengono le luci e nulla di ciò che vedrai potrà entrare nel disco che compri. E qui sto parlando dei Muse.

Nei loro dischi c’è la dance, ci sono dei momenti sinfonici, c’è il prog-romantic stile Ultravox (avete presente Hiroshima Mon Amour? Che delizia), c’è qualcosa dei Led Zeppelin, ma anche dei Rage Against the machine e c’è addirittura Chopin. E c’è il rock. Soprattutto quando sono live. I Muse hanno raffinatissime ambizioni come i suoni della chitarra di Jimi Hendrix. Il che mi rende simpatico Bellamy, che la chitarra non si limita a spaccarla, la suona sul serio. E comunque, ne ha spaccate così tante da entrare nei Guinnes dei primati, ma soprattutto, comprarsi direttamente l’azienda che le produce. Geniale.

Dei Muse è stato detto che “Sono riusciti a trasformare le loro nevrosi di provincia in un'idea universale". È un concetto a mio parere stupendo che ha a che fare un po’ con la grazia. Intesa proprio (vedi etimologia) come la qualità naturale di tutto ciò che, per una sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito. È come vedere tre ragazzini che affittano una saletta ogni venerdì sera, sapere che stanno facendo più casino che musica, ma che se ne fregano. Perché la musica arriva nel bel mezzo di un casino e di fatica. E soprattutto, è l’unico obiettivo di chi fa musica. Che non suona per compiacere o per vendere dischi, suona perché ha qualcosa da dire.

E loro, sperimentando e osando (anche con il rischio di perdere fan) hanno sempre cercato di farlo senza tradirsi mai. Non a sorpresa, riempiendo gli stadi e facendo cantare a tutti ritornelli come “Love is our resistance”. Che se è vero che siamo fatti di energia, c’è qualcosa di magico quando migliaia di persone ripetono insieme questo concetto. Detto questo, la mia canzone preferita rimane “Space Dementia”. Sarà che nel testo ci ritrovo banalmente Ian Curtis e i Joy Division: “Demenza spaziale nei miei occhi, la pace sorgerà e ci farà a pezzi. E ci renderà privi di significato di nuovo”. La verità è che, anche se non è una novità tra i gruppi rock e non solo rock, usano il suono della zip dei pantaloni di Matt Bellamy nel finale. Insomma, non stanno lì a sorridermi cantandomi “Viva la vita”, ma fanno parte del mio sentirmi viva. Che non è poco.

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