Niccolò Fabi il nuovo disco è Tradizione e Tradimento: l'intervista

Musica

Fabrizio Basso

Niccolò Fabi (foto di Chiara Mirelli)
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Tradizione e Tradimento è il nono disco in studio da solista di Niccolò Fabi. È un disco che parla di scelte. Un disco che in qualche modo rappresenta una scelta. La prima che ogni artista dovrebbe rinnovare dignitosamente ogni volta, cioè la scelta di fare arte perché mosso da un’ispirazione e da una necessità, e subito dopo la scelta di renderla pubblica. Ho incontrato e intervistato Niccolò Fabi

(@BassoFabrizio)

E' un album che insegue un equilibrio. Interiore ed esteriore. Un album di cambiamento. Racconta di un uomo che vuole essere all'altezza delle sue aspettative, un uomo che segue un suo percorso alla ricerca di un linguaggio diverso. Questo è Tradizione e Tradimento di Niccolò Fabi. Un lavoro che a ogni ascolto ti lascia una parola nuova, una suggestione nuova, uno stimolo a portare avanti il pensiero. Ho incontrato Niccolò Fabi per chiacchierare con lui di questo suo nono album di inediti.

Consideri questo lavoro un percorso a due fasi: perché?
Ci sono il fallimento prima e poi la resurrezione. Il desiderio di partenza era allontanarmi da quello fatto finora anche se le soddisfazioni dell’ultimo disco, Una somma di piccole cose, sono state straordinarie. Così straordinarie che è nato il desiderio di allontanarmene, è nata una fase di sperimentazione: tanto acustico e caldo il precedente che ora ho traslocato in aree meno sentimentali e più elettroniche.
Un vero viaggio.
Ho girato, fatto varie collaborazioni e i risultati non sempre sono andati a buon fine. Il solo brano che mi tornava quando sono tornato a casa era Amore con le ali: lì c’era un buon equilibrio, in altri casi una perdita di identità. Sono dunque tornato indietro e mi sono tolto le turbe di volere essere qualcosa di diverso.
Per questo un tuto brano si intitola I giorni dello Smarrimento?
E' la canzone centrale del disco non per la qualità ma perché rappresenta la svolta che per me è raccontare quello che succede. Quando mi sono trovato a dirmi che non mi trovavo più ecco la mia voce che mi ha messo in linea. In un altro territorio ero uno qualsiasi, quasi una condanna. A volte le cose importanti le hai avute nelle tasche e non le hai sentite.
Che mi dici di Io sono l'altro?
Parla di clochard, di genitori di bambini portatori di handicap, una canzone molto dura. Bisogna rispecchiarsi negli altri. Non è una canzone sulla diversità. Non era interessante per me raccontare l’altro partendo dalla cronaca, mi interessava entrare nello sguardo dell’altro, entrare nel suo punto di vista. Le immagini spero rappresentino l’accettazione dell’altro e dell’uguale.
Concetto, quello dell'altro, che approfondisci in Migrazioni.
Indago i motivi che spingono una persona a cercare l’altra. Mi sono sempre interessato alle persone ma l’arte deve portare il discorso un po’ più in alto. O più in basso. Faccio un esempio: un uccello da millenni cerca la sua sopravvivenza, volando per migliaia di chilometri, affrontando esodi. Pensando al loro migrare ho messo da parte tematiche attuali per entrare in qualcosa di più grande. L’artista non deve andare per slogan.
Che è accaduto dopo la fine del percorso delle piccole cose?
E' stato un allontanamento non dalla forma acustica ma dall’essere cantante. Con quel disco ho chiuso una fase importante della mia vita e non davo per scontato di avere ancora da dire e neanche di andare più in profondità dove trovi finalmente tutti.
Cosa ha la profondità che fa stare bene?
Nella fase superficiale siamo tutti uguali. Non è facile essere un accompagnatore in quella discesa, è un onore però essere scelto per esserlo. Io stesso non so se mi sceglierei. Per questo volevo non scrivere ma allontanarmi. Però mi rendevo conto che il mio demone mi guardava, come se la vita perdesse senso.
Lo hai tenuto il materiale creato in quella fase?
Certo, un po’ di materiale da parte c’è. Ho venti amici che suonano, cantono e scrivono meglio di me, ma quando io scrivo chiuso in una stanza con la giunta tensione divento speciale. Se canto una canzone e non sono emozionato sono uno qualunque. Ecco perché se non spingevo l’acceleratore non ero nulla: mi sono guardato allo specchio e ho detto raccontiamo tutto questo.
Una paura inconscia di bruciarti? per questo apri Tradizione e Tradimento con Scotta?
E' un testo breve ma che rimanda la percezione di consumarsi. Creativamente l'album è fuori dal comune perché è fatto di testi che si consumano in un attimo. Questa la ho scritta in neanche un’ora. Quando capitano questi momenti si resta esterrefatti. Mi sono avvicinato al pianoforte in un momento speciale: rappresenta la mia sfida musicale, quella di mettere insieme la lingua italiana e la musicalità che porta al sogno. Il rischio non è andare a fuoco ma che sfuochi. Mi piace una idea tipo Salvatore Quasimodo che incontra i Sigur Ros.
Ora starai pensando a porta il disco in concerto (debutta il 27 novembre a Cascina, provincia di Pisa, tour organizzato da Magellano Concerti e Ovest ndr).
Il tour è complicato, arrivo da un progetto chitarra e voce e ora ci vorrebbe…non so. Le prove non le abbiamo ancora fatte ma l’idea è che sia più performance che concerto. Ci sono persone che hanno preso il biglietto prima che il disco uscisse e ciò mi rende orgoglioso ma mi trasmette anche responsabilità. Occorre ulteriore attenzione per questo capitolo nuovo. Rassicurazione e sorpresa devono integrarsi.
Privilegi i testi o le musiche?
Spesso c’è una maggiore attenzione ai testi. Non che mi dispiaccia ma per me la canzone è suono e parola in una equità fondamentale. Le canzoni sono legate nel bene o nel male a uno stato d’animo che non è proprio comune. Mi è stato chiesto perché non scrivo un libro…un giorno forse ci proverò ma non è la mia ambizione.
Senti il peso dei tuoi cinquant'anni?
So che sto invecchiando senza dare a ciò una connotazione né triste né altro ma l’età è un dato non secondario. Le nostre cellule, i nostri organi vitali lavorano da anni e lo sento. Le cellule influenzano i pensieri. E’ uno spreco infinito l’artista che non racconta la sua età.
Sarà per questo che ti allontani un po' dal tuo io?
Il disco precedente era talmente io che questo non può che essere noi. L’esigenza primaria era trovare un modo intimo che fin dall’inizio avesse la necessità di farsi capire. Ecco perché è un disco più estroverso.
Senti molta differenza tra il Niccolò delle origini e quello di oggi?
A molti cantautori togli i primi 10 anni della loro storia e gli togli l’80 per cento del repertorio. A me non togli praticamente nulla. Io porto le persone a me passo passo.
La cover è una tua foto fatta in Mozambico.
Vado in Africa con una associazione che si occupa di portare professionisti medici, la ong Medici con l'Africa CUAMM. Andiamo a vedere l'evoluzione delle cose e io poi cerco di raccontarla in modo meno retorico possibile. Voliamo in Mozambico perché un ciclone ha devastato una zona. In una pausa abbiamo fatto una passeggiata lungo il mare e c’era un faro che importante anche a livello simbolico. Saliamo sul faro, facciamo le foto e io vengo attirato da colore blu-verde del pavimento che si intersecava con il rosso della balaustra: faccio lì ancora più foto. Quando il disco ha avuto il titolo mi sono tornate in mente quelle foto. Ho fatto scoprire cose anomale mentre tutti guardavano in alto.
Una scelta anche quella.
Ogni scelta ti presenta un conto. In positivo o negativo. Soprattutto in un titolo come questo.

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