"Amazing Grace", la storia dell'inno cantato (anche) da Aretha Franklin

Musica

La storia dietro il popolare inno cristiano composto da John Newton, un ex mercante di schiavi, è complessa e ambigua.

“Amazing Grace” è, probabilmente, l’inno cristiano più famoso e più amato degli ultimi due secoli. Da una stima approssimativa, pare che venga eseguito 10 milioni di volte l’anno e sia apparso su oltre 11mila album. Ci sono riferimenti al brano nel romanzo di Harriet Beecher Stowe, “La capanna dello zio Tom” e ha avuto un’impennata di popolarità durante due periodi di grande crisi nella storia americana, la Guerra Civile e la Guerra in Vietnam.

Tante interpretazioni

Aretha Franklin, Ray Charles, Johnny Cash, Willie Nelson, Elvis Presley e Diana Ross sono solo alcuni dei nomi che hanno cantato “Amazing Grace”. Anche molti artisti italiani hanno interpretato il brano: i Ricchi e Poveri l’hanno incisa in italiano con il titolo “Amici miei”, mentre Iva Zanicchi ne ha cantato una versione tradotta con il titolo “La mia sera”.

Gli U2 hanno usato l’inno come intro della canzone ”Where the streets have no name” durante il tour “U2 360 tour”. Una delle ultime interpretazioni è quella della cantante italoamericana LP, nel 2016.

Una storia complessa

Ironia della sorte, questa canzone che da sempre è associata alla comunità afro-americana, è stata scritta da un mercante di schiavi, John Newton, che la scrisse come inno di ringraziamento a Dio per la sua “conversione”.

Newton era nato a Londra nel 1725 da una madre puritana, morta quando lui aveva 7 anni, e un padre molto severo, capitano di mare. A 11 anni, John seguì il padre sulle navi e trascorse l’adolescenza nella Marina Britannica, abbandonandosi molto spesso anche all’alcol. Dopo aver tentato di disertare, fu preso a frustate e venne ridotto al grado di marinaio comune.

Nel frattempo, Newton cominciò a perdere la fede e ad assumere comportamenti sempre più irriverenti. Nel corso di un conflitto con un mercante di schiavi, Amos Clowe, quest’ultimo lo diede a sua moglie, la principessa Peye, una regale africana che lo trattò come faceva con gli altri schiavi.

In seguito, l’uomo riuscì a fare carriera e a diventare capitano di imbarcazioni negriere, intorno alla seconda metà del Settecento.

La conversione

Dopo il matrimonio con Mary Catlett, cominciò a riavvicinarsi alla fede, obbligando anche i marinai a pregare tutte le sere.

Durante un viaggio di ritorno, nei pressi delle coste irlandesi, la nave fu travolta da una terribile tempesta e Newton cominciò a pregare. All’improvviso, la nave riuscì a raggiungere la costa e a mettere tutto l’equipaggio in salvo. L’uomo vide la salvezza come un segnale di Dio e pensò di convertirsi seriamente al cristianesimo.

La conversione non avvenne all’improvviso, Newton continuava a esercitare la tratta di esseri umani e, per quanto si adoperasse per rendere meno pesanti le condizioni degli schiavi, il disagio che provava nel continuare con quella professione era troppo forte. Decide di lasciare e diventò ispettore del porto a Liverpool ma la vocazione religiosa cominciava a farsi sempre più forte.

La vocazione religiosa

Col tempo, divenne pastore della parrocchia di Olney, guadagnandosi immediatamente l’affetto e la stima di tutti i fedeli. In quel periodo, cominciò anche a scrivere opuscoli e inni sulle condizioni degli schiavi, che lo fecero diventare molto popolare. Tra questi, anche “Amazing Grace”, che poi è diventato uno degli inni cristiani più popolari di sempre.

Nei suoi sermoni e nei suoi scritti non si nascondeva e ricordava sempre il suo passato e la sua successiva conversione. Sulla sua lapide ha voluto che fossero incise queste parole: “John Newton, ecclesiastico, un tempo un infedele e un libertino, servo degli schiavisti in Africa, fu, per grazia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, conservato, redento, perdonato e inviato a predicare quella Fede che aveva cercato di distruggere”.

Ironia della sorte, John Newton morì nel 1807, nello stesso anno in cui fu abolita la tratta degli schiavi in tutti i domini inglesi.

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