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“Una fredda mattina di maggio”, il film ispirato all'omicidio di Walter Tobagi

Cinema
Ansa/WebPhoto

Il giornalista ucciso a Milano avrebbe compiuto 75 anni. Nato il 18 marzo 1947, fu vittima nel 1980 di un attentato da parte di cinque membri della Brigata XXVIII marzo, un gruppo terroristico di estrema sinistra. Come cronista de Il Corriere della Sera raccontò gli anni di piombo e indagò per capirne le radici. A lui è dedicata una pellicola, liberamente ispirata alla sua storia, con protagonista Sergio Castellitto

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Nasceva 75 anni fa, il 18 marzo 1947, il giornalista e scrittore Walter Tobagi, assassinato a Milano all’età di 33 anni in un attentato della Brigata XXVIII marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra. Alla sua storia e al suo omicidio è liberamente ispirato un film del 1990, diretto da Vittorio Sindoni e intitolato Una fredda mattina di maggio, con Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini, Marie Laforét e Gabriele Ferzetti.

La trama del film

Il film di Sindoni è ambientato nella Milano degli anni ’70, durante gli anni di piombo. Fra i gruppi della lotta armata c’è Prima Linea, di cui il giornalista Ruggero Manni (Sergio Castellitto) inizia a occuparsi. Dopo che un altro giornalista viene gambizzato, Manni inizia a indagare trovandosi però di fronte a un muro di contestazioni, anche da parte dei colleghi. A minacciarlo per le sue ricerche sono alcuni studenti, molti di buona famiglia e figli di amici e conoscenti, che decidono di farsi notare dai "cugini" delle Brigate Rosse uccidendo Manni la mattina del 28 maggio 1980.

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La genesi del film

“Gli anni ’70 sono stati il nostro Vietnam”, ha detto una volta Sergio Castellitto parlando degli anni di piombo. Il film che lo vede vestire i panni di Ruggero Manni nacque nel 1989 dall’idea di realizzare un progetto dedicato a Walter Tobagi. All’inizio Graziano Diana, incaricato di scrivere soggetto e sceneggiatura, rimase molto fedele ai fatti accertati e usò i nomi reali dei personaggi coinvolti nella vicenda. Tuttavia poi ci furono alcune modifiche - fra cui quella ai nomi dei protagonisti - a causa dei procedimenti giudiziari ancora in corso. Il titolo fu scelto dal regista Sindoni ed è l’incipit di un articolo che Claudio Martelli, esponente tra i più importanti del Partito Socialista, aveva scritto in memoria di Tobagi.

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Il cast e la location

Sullo schermo la moglie di Ruggero Manni, Lia, è Margaret Mazzantini, moglie di Castellitto. Ci furono dei contrattempi con gli attori più giovani, quando Sindoni si rese conto che molti di loro non sapevano cosa fossero stati gli anni di piombo. Il regista interruppe quindi le riprese e insieme a Castellitto - usando libri e filmati - spese tre giorni a raccontare ai ragazzi la storia che faceva da sfondo ai ruoli che dovevano interpretare. Per le sequenze degli scontri di piazza - spiega la Rai - “fu scelto un gruppo di frequentatori dei centri sociali di Milano i quali, guidati da un leader che ricordava bene quegli anni turbolenti, furono talmente credibili nell’urlare i loro slogan ‘anti sistema’ che un’anziana che passava in quel momento ebbe quasi un collasso temendo fossero tornati i drammatici ‘sabati milanesi’”. Per quanto riguarda le location, per il giornale dove lavora Manni è stata usata la redazione del quotidiano Il Giorno

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Chi era Walter Tobagi

La carriera di giornalista di Walter Tobagi inizia già a scuola, come redattore de La Zanzara, il giornale del liceo Parini di Milano. Poi passa all'Avanti! di Milano, dove rimane qualche mese, per approdare in seguito al quotidiano cattolico Avvenire dove sviluppa interesse per i temi sociali, l'informazione, la politica e il movimento sindacale. Contemporaneamente porta avanti il lavoro universitario e di ricercatore. Ma è il terrorismo che lo interessa, specialmente dopo la morte di Giangiacomo Feltrinelli e l'assassinio del commissario Luigi Calabresi: le prime iniziative militari delle BR, i covi scoperti a Milano, la guerriglia urbana nel capoluogo lombardo fomentata da gruppi come Lotta Continua, Potere Operaio e Avanguardia operaia. Nel 1972 Tobagi passa a Il Corriere della Sera per il quale segue tutte le principali vicende degli anni di piombo e denuncia i pericoli di un radicamento del terrorismo nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro: “Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato - ha detto di lui Giampaolo Pansa - Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo Paese. E aveva capito che i terroristi giocavano per il re di Prussia. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera”. Fra gli articoli più celebri e citati di Tobagi quello intitolato Non sono samurai invincibili.

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L’omicidio di Walter Tobagi

“Chissà a chi toccherà la prossima volta”. Dice così Walter Tobagi la sera prima di essere ucciso, durante un incontro al Circolo della stampa di Milano sulla libertà di stampa e la responsabilità del giornalista di fronte all'offensiva dei gruppi terroristici. Un dibattito nervoso, durante il quale l'inviato del Corriere viene più volte aggredito verbalmente. Dieci ore più tardi, alle 11 del 28 maggio 1980, Tobagi viene ucciso in via Salaino da cinque colpi di pistola esplosi da terroristi di sinistra della Brigata XXVIII marzo. All’omicidio partecipano Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano: i primi due sono il figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni (di proprietà del gruppo RCS), e il figlio del critico cinematografico Morando Morandini del quotidiano Il Giorno. A sparare sono Marano e Barbone. In via Salaino, all'angolo con via Solari, è stata messa una targa in memoria di Tobagi che riporta un passo di una lettera che il giornalista scrisse alla moglie nel dicembre del 1978: “Al lavoro affannoso di questi mesi va data una ragione, che io avverto molto forte: è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori umani (...) per contribuire a quella ricerca ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi mutamento, miglioramento nei comportamenti collettivi”.