Elle Fanning: da Maleficent a Predator Badlands, il lato oscuro e luminoso di Hollywood

C’è una purezza disarmante negli occhi di Elle Fanning. Non quella delle principesse Disney, ma una purezza più sottile, quasi vertiginosa: la consapevolezza di chi sa che la grazia è una forma di potere. Da quando, bambina, ondeggiava su un’altalena accanto a Sean Penn in Mi chiamo Sam, non ha mai smesso di oscillare tra innocenza e lucidità. «Recito da quando avevo due anni», racconta. «Ma non ho mai voluto fare due cose male: la scuola e il cinema. Ho scelto il cinema». Vent’anni dopo, quell’istinto è diventato un metodo. Una fede nella spontaneità: «Mi affido all’istinto più che alla testa. Anche gli errori contano: sono pepite d’oro che qualcuno, prima o poi, saprà trovare». Cresciuta in Georgia, educata con la grazia del Sud e la disciplina di Hollywood, Elle ha sempre saputo che la vulnerabilità può essere un’arma. E che la fragilità, davanti alla macchina da presa, è una forma di coraggio Dalle fiabe alle ombre: Aurora e Mary Shelley Nel 2014, con Maleficent, Elle diventa la principessa Aurora di una generazione nuova: meno addormentata e più consapevole. Al fianco di Angelina Jolie, trasforma la “Bella Addormentata” in un simbolo di empatia attiva. «Angie è una forza della natura», racconta. «Non è una che ti riempie di consigli: ti insegna con l’esempio. È una madre, un’artista, una donna che non chiede permesso. Ricordo quando sul set la vidi, in pieno costume, con due dei suoi figli per mano: era un’immagine potentissima». Con Maleficent – Signora del Male ritrova il personaggio anni dopo, più ironico, più complesso. «Non avevo mai fatto un sequel: è stato come rivedere una parte di me stessa e scoprire quanto fossi cambiata». Dalle fiabe, Fanning passa ai fantasmi. Mary Shelley le permette di incarnare la scrittrice che inventò il mostro più umano della letteratura. «Avevo letto Frankenstein al liceo, ma non sapevo quanto Mary fosse moderna», spiega. «Era una ribelle ante litteram, una ragazza che scriveva contro il destino». Diretta da Haifaa al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita, Fanning trova in quella storia una doppia rivelazione: «Haifaa sul set piangeva: per la prima volta poteva dire ad alta voce “Io sono la regista”. Lavorare con lei è stato un privilegio. Le donne che mi dirigono mi capiscono subito». Mary Shelley diventa per Elle una dichiarazione d’intenti: il racconto di una giovane donna che trasforma il dolore in creazione, la vulnerabilità in invenzione. The Neon Demon: la bellezza come arma Dopo Mary Shelley arriva la metamorfosi più radicale: The Neon Demon di Nicolas Winding Refn. È il 2016, Elle ha appena diciassette anni e a Cannes il film divide la sala tra applausi e fischi. «Nic dice sempre che l’arte non si giudica in termini di buono o cattivo: deve solo far reagire», racconta. «E noi ci siamo riusciti». Nel film interpreta Jesse, una modella adolescente divorata dal culto della bellezza. «Mi ha permesso di esplorare il mio lato oscuro», sorride. «È un tema controverso: la bellezza è un enigma, tutti ne parlano ma pochi la comprendono davvero». Il film le offre la possibilità di spogliarsi del candore Disney e incarnare la violenza sottile dell’immagine. Non più principessa, ma predatrice, affronta la macchina da presa come uno specchio deformante. Fuori dal set, però, resta la ragazza che si emoziona davanti a Beyoncé al Met Gala e compra un paio di stivali solo perché la popstar le dice che le stanno bene. «È stato un momento da sogno», confessa. «Sì, li ho comprati subito». Tra haute couture e ironia, tra Elie Saab e Celine, tra Grace Kelly e Tilda Swinton, Elle alterna incanto e curiosità. Il suo stile – come il suo cinema – è una continua ricerca di identità. La sovrana che ride del potere A vent’anni, diventa Caterina la Grande nella serie The Great. Qui esplode tutto il suo talento ironico e visionario. «All’inizio avevo paura della commedia», ammette. «Poi ho capito che la libertà nasce dal ridicolo. Bisogna saper imbarazzarsi per essere veri». Produttrice a soli vent’anni, trasforma The Great in un manifesto travestito da farsa: un’ode al potere femminile e ai suoi inciampi. «Caterina non è una statua: è piena di contraddizioni. Ho imparato che si può governare ridendo». Girando la serie dai 20 ai 25 anni, Elle cresce insieme alla sua imperatrice. «Attraverso lei ho trovato la mia voce», dice. «Sono diventata più audace. Ogni stagione mi spingeva a osare un po’ di più». “Essere onesti, sempre” «Ogni film è una lezione di vita», dice. «Non credo nei ruoli perfetti. Ho imparato che la vulnerabilità non è debolezza, ma linguaggio. Quando vivi sul palco ti spogli di tutto, e se non sei autentica, il pubblico se ne accorge». Oggi, a ventisette anni, con Sentimental Value di Joachim Trier premiato a Cannes e tre nuovi film in arrivo, Elle Fanning è una donna consapevole della propria luce. «Bisogna insegnare alle ragazze a gestire il proprio potere», dice. «E a non vergognarsi di usarlo». In fondo, il suo talento nasce da qui: dalla capacità di credere nella magia, ma con la testa lucida. Perché Elle Fanning non è solo l’incarnazione di una nuova Hollywood — è il suo cuore pulsante, fragile e luminoso. Se fosse un cocktail Se Elle Fanning fosse un cocktail, non avrebbe un solo colore. Sarebbe un chiaroscuro liquido, un equilibrio fra luce e pericolo. Un sorso che inizia dolce — come la Georgia dove è nata — e finisce con una scossa di metallo e fiori notturni, come le scenografie di The Neon Demon. Potrebbe chiamarsi “Aurora Mechanica”: un calice sottile, trasparente come un’infanzia vissuta tra ciak e sogni, con dentro vodka fredda, infuso di lavanda, limone bruciato e un tocco di sake. Un cocktail che profuma di set all’alba e di velluto sintetico, di fiabe e disobbedienza. All’inizio inganna con la grazia di Maleficent, poi lascia un retrogusto di ferro e malinconia, come in Mary Shelley. Nel mezzo, un lampo d’assenzio che ricorda The Great: il momento in cui l’ironia diventa potere, e la regina ride della propria fragilità. Sorseggiarla è come guardarla recitare: non sai mai se stai bevendo un profumo o un veleno. Ogni bolla è un riflesso di qualcosa che sfugge: un sorriso, una battuta improvvisa, un’ombra di tristezza. Alla fine resta solo un retrogusto indecifrabile: quello della libertà. Perché Elle Fanning, come un cocktail ben costruito, non si spiega: si assaggia, si ascolta, e poi ti rimane addosso come un sogno che brucia piano. Cocktail ispirato a Elle Fanning Bicchiere: coppa di cristallo sottile, bordo leggermente brinato. Colore: rosa lunare con riflessi d’acciaio. Profumo: lavanda, limone bruciato, violetta e un accenno di sake. Ingredienti: 4 cl di vodka premium infusa alla lavanda 2 cl di sake freddo 1 cl di succo di limone bruciato 1 cl di sciroppo di violetta Ghiaccio trasparente e una zeste di limone candito Preparazione: Shakera con grazia ma decisione, come un gesto teatrale di Caterina la Grande. Versa in coppa ghiacciata e decora con un petalo di orchidea. Pairing filmico: Da sorseggiare guardando The Great o Mary Shelley, ma anche The Neon Demon, perché la dolcezza si ossida in bellezza e la bellezza, a volte, è un veleno che illumina. Mood: Un cocktail che nasce nel regno di Maleficent, si agita tra le luci al neon di Refn e si spegne con la malinconia elettronica di un robot spezzato in Predator: Badlands. Una miscela di fragilità e potere, come lei. Scintillante, pericolosa, indimenticabile.

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Paolo Nizza