Enzo, un coming of age intimo costruito sui non detti

All’inizio “Enzo”, al cinema in questi giorni distribuito da Lucky Red, doveva essere diretto da Laurent Cantet. Quando però il regista francese è morto, il progetto è passato a Robin Campillo. È abbastanza riduttivo volerlo paragonare a tutti i costi a “Chiamami con il tuo nome” di Luca Guadagnino. Intendiamoci: di punti in comune ce ne sono. Soprattutto la presenza di un protagonista, qui interpretato da un bravissimo Eloy Pohu, che non sa che cosa essere da grande, che è alla continua scoperta di sé stesso, della sua sessualità e di quello che vuol dire, crescendo, assumersi le proprie responsabilità. Ma “Enzo” è anche un film più contenuto, che gioca con la tensione e i non detti e che non cerca una rappresentazione più esplicita, rischiando il didascalismo, dello stato d’animo dei suoi personaggi. Il rapporto coi genitori La cosa più interessante, però, è un’altra. E cioè il rapporto che il protagonista ha con i suoi genitori, interpretati da Élodie Bouchez e Pierfrancesco Favino. È interessante perché questo rapporto, tanto in modo diretto quanto in modo indiretto, finisce per diventare una sorta di cartina tornasole della crisi profonda che attraversa la società . Da una parte ci sono i borghesi più benestanti che, come i genitori di Enzo, sembrano vivere in un altro mondo: hanno una casa con la piscina, guadagnano decine di migliaia di euro al mese e tra le loro preoccupazioni principali c’è se andare o meno in vacanza in Italia. Dall’altra, ci sono gli operai con cui Enzo lavora, che hanno altre priorità e che sono disposti a fare ore extra, in nero, pur di guadagnare qualche euro in più. Enzo decide di lasciare la scuola e di seguire un percorso professionale, perché vuole fare qualcosa che abbia un senso, qualcosa che – ripete – possa resistere alla prova del tempo. Come una casa, appunto. I suoi genitori sono preoccupati. In particolare è preoccupato suo padre, che lo vede farsi del male, così dice, ogni giorno. Oltre il livello più superficiale del racconto, ce ne sono almeno altri due, più profondi: uno che si concentra unicamente su Enzo, su quello che prova, sull’attrazione che sente per uno dei suoi colleghi; l’altro che considera la stretta attualità e che, in qualche modo, prova a rappresentarla e a includerla nella messa in scena. L'attualità entra nel film Nel gruppo di Enzo, infatti, ci sono operai ucraini, che con l’invasione del loro Paese sono stati richiamati per combattere al fronte. E questo è un modo, per Campillo, per affrontare la brutalità della guerra e per esplorare – anche se in modo relativo e piuttosto limitato – quelli che sono i sentimenti degli uomini che sono partiti per l’estero, che hanno trovato una casa e un lavoro, che si sono costruiti una nuova vita, e che ora vengono messi davanti a una scelta: tornare indietro e rischiare ogni cosa oppure fare finta di niente, andare avanti e convivere con questo eterno rimpianto. “Enzo” è, sostanzialmente, un coming of age. Perché prova a raccontare la crescita del suo protagonista, il modo in cui, nel giro di relativamente pochi mesi, cambia. Ma è pure un racconto intimo, che prende in considerazione il punto di vista degli altri personaggi e che cerca di intrecciare più trame e più elementi. La storia di “Enzo”, a tratti così lineare e a tratti profondamente unica, diventa un modo per indagare la coscienza di un ragazzo, di un adolescente, e allo stesso tempo uno strumento per ribadire quelle che sono le differenze tra classi sociali e generazioni, tra sensibilità ed esperienze differenti. L'intensità di Favino Buona parte del film è ambientata di giorno, al caldo del sole estivo. Quando arriva la notte, c’è spazio per altre cose: per i dubbi del protagonista, per esempio, ma pure per i silenzi e per il desiderio. “Enzo” è un film costruito sulla visione del suo regista, sul modo in cui decide di catturare e inquadrare le figure, e sulle interpretazioni degli attori. In particolare, colpisce quella di Favino per la sua intensità e per la sua forza: il suo personaggio è un padre che deve provare a lasciare libero suo figlio, a non intromettersi e a rispettare le sue scelte. Diventa però difficile rimanere in disparte e non fare niente. “Enzo” si muove costantemente tra questi estremi. E alla fine riesce a trovare il suo ritmo e, cosa ancora più importante, la sua dimensione.

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Enzo, un coming of age intimo costruito sui non detti

Gianmaria Tammaro