Mickey 17 e la fantascienza secondo Bong Joon-ho

Per Bong Joon-ho la fantascienza è un mezzo. È un modo, cioè, per raccontare la storia che ha in mente. L’ha usata diverse volte nel corso della sua carriera: “Snowpiercer”, “Okja” e ancora prima, nel 2006, “The Host”. Nel caso di “Mickey 17”, al cinema in questi giorni con Warner Bros. Italia, si sposta in un futuro prossimo, uno in cui i viaggi nello spazio sono possibili, e riprende uno dei temi che gli sono più cari: la divisione in classi sociali e lo sfruttamento dei più poveri. Il protagonista di “Mickey 17”, interpretato da Robert Pattinson, è un uomo in fuga dai debiti e dal suo passato, che si offre come volontario nella spedizione di un ex-politico sostenuto e finanziato da una setta religiosa . Grazie a una nuova tecnologia, è possibile “ristamparlo” ogni volta che muore. E quindi il suo ruolo diventa quello di “sacrificabile”: l’ultimo tra gli ultimi, pura carne da macello da mandare in avanscoperta per evitare di perdere membri indispensabili dell’equipaggio e della prossima colonia. Il grande lavoro di Robert Pattinson Durante la prima parte del film, Bong Joon-ho si concentra su questo meccanismo e sulla presentazione della piccola società che si crea e dei compiti che vengono assegnati a ogni persona. Poi, nella seconda parte, ribalta lo spunto narrativo, smette di parlare del passato e si concentra sul presente del racconto, creando il primo, importante momento di rottura all’interno della trama: all’improvviso non c’è più un solo Mickey, ma ce ne sono due. E benché fisicamente identici, i due Mickey hanno caratteri quasi opposti. Uno più introverso e insicuro, l’altro più estroverso e irascibile. E qui viene fuori il mestiere e il talento di Robert Pattinson, che riesce a cambiare – e, a volte, a cambiare di molto – con gesti, piccoli espressioni e con la postura. Nella versione italiana, il lavoro sulla voce viene caricato eccessivamente ed è un peccato. Perché così si rischia di perdere l’intensità genuina, poco artificiosa, dell’interpretazione di Pattinson. Un film di pura satira sociale L’obiettivo di Bong Joo-ho, però, rimane comunque evidente. Selezionare un gruppo di persone, riempirlo di estremi e di paradossi, e ribaltare completamente qualunque paradigma. “Mickey 17” è un film intenso, di pura satira sociale. E prende di mira tanto i potenti quanto i cittadini comuni, che spesso si lasciano convincere nella speranza di poter finalmente cambiare la propria posizione. “Mickey 17” è anche un film sull’individualismo positivo. Perché ci dice che, nonostante tutto, ci sono sempre delle persone disposte a farsi avanti e a sacrificarsi per ciò che ritengono più giusto – e no, non è il caso del protagonista, che a un certo punto si trova quasi costretto ad agire. Il cinema come mezzo di critica collettiva La riflessione di fondo che offre il film di Bong Joon-ho è un’altra, ed è molto più essenziale. È una riflessione sia sul cinema, inteso come mezzo di critica collettiva, che sul genere. Che non va mai preso in considerazione come una cosa a sé stante, da proteggere e rispettare a qualunque costo. Anzi. Il genere va visto come, appunto, uno strumento. Nel caso di “Mickey 17” la fantascienza è il linguaggio ideale per parlare di argomenti decisamente più attuali e importanti: il sovraffollamento, la politica sovranista, il finto nazionalismo, la rottura profonda del rapporto tra rappresentati e rappresentanti, l’ipocrisia della società e, come dicevamo all’inizio, la divisione in classi sociali. Un tono ironico, a tratti quasi grottesco Non è un film serioso, “Mickey 17”. O almeno, non è un film che cerca a tutti i costi di prendersi sul serio. Mantiene un tono costantemente ironico, a tratti quasi grottesco, proprio per poter parlare al pubblico più ampio. E anche questa scelta stilistica, di scrittura e impostazione registica, apre a un altro tipo di ragionamento. E cioè: l’autorialità, che va intesa come firma riconoscibile e come visione specifica, non può – e non deve – essere associata a un limite. “Mickey 17” è fantascienza d’autore, certo, eppure è un film che non fa nessuna distinzione e che è costruito intorno al genere e all’idea di Bong Joon-ho, che non sembra chiedersi nemmeno per un momento che cosa sarà di noi, in futuro, ma al contrario che cosa rischiamo di essere in questo presente, divisi e persi come siamo. “Mickey 17” ci ricorda con efficacia quale può essere il ruolo del cinema all’interno del dibattito pubblico: non educare o insistere su una determinata teoria, ma provare a fotografare l’attualità, stando chiaramente attenti a rispettare la storia che si vuole raccontare per offrire agli spettatori una lettura nuova e possibilmente capace di ispirare ulteriori riflessioni.

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Mickey 17 e la fantascienza secondo Bong Joon-ho