Faccia a faccia con l’attrice campana, ispirata new-entry del nutritissimo cast di Un altro ferragosto, il nuovo film di Paolo Virzì in sala dal 7 marzo
Ha l’orecchio sensibile, Anna Ferraioli Ravel, la Sabbry dell’ultimo film di Paolo Virzì, Un altro ferragosto: strimpella più che discretamente il pianoforte a coda che arreda la sua bella casa romana con vista sul Lungotevere; però no, non è parente del compositore del Bolero, Maurice Ravel, e il suo nome ha l’accento sulla prima sillaba, dunque tuttalpiù può echeggiare il delizioso paesino Ravello, essendo Anna nata in Costiera amalfitana.
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Un altro Ferragosto, la recensione del film di Paolo Virzì
Ammirata nel delizioso I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, in cui si disimpegna più che egregiamente nei panni di una icona partenopea gigantesca come Titina, tanto da impressionare i giornalisti cinematografici che le attribuiscono una meritata candidatura ai Nastri d’Argento, e poi rivista nel cast nella commedia autobiografica, Scordato, di Rocco Papaleo; Anna è stata scelta da Paolo Virzì per interpretare il ruolo di Sabrina Mazzalupi “ Ho raccolto la preziosa eredità dell’indimenticabile interpretazione dell’inquieta, ingenua e sognatrice adolescente Sabry, che in Ferie d’Agosto corre verso il molo pronunciando una delle battute più belle della storia del cinema, quella che contiene un irresistibile ossimoro, ovvero: “stronzo, ti amooo!” con tanto di mano a coppetiello, come si dice dalle mie parti... (sorride, N.d.R.)” Il finale del film, struggente e tragicomico, come tutta quella pellicola, che seppe raccontare l’Italia divisa in tribù politiche del primo maggioritario. “Per me - seguita a raccontare l’attrice campana – Sabrina rimane il personaggio più tenero, vitale e disperato del film, il più fiducioso nell’essere umano, in un epoca di narcisismo collettivo in cui siamo tutti portati a percepire il prossimo come una minaccia; fragile e profondamente bisognoso di amore, e a un tempo lucido e disilluso, quasi profetico, sulla condivisione di un destino di infelicità da parte della sua famiglia.
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"Un altro ferragosto", Virzì continua la storia dopo ventotto anni
Come è cambiata Sabrina in questi quasi 30 anni?
La zia la definisce affetta da un ritardo cognitivo, ma proprio questo limite, che la rende agli occhi degli altri una patetica emarginata, in realtà si trasforma in una risorsa che le permette di percepire il mondo con una sensibilità e un sentire amplificato. Un personaggio che non smette mai di lottare contro se stessa, più che contro gli altri, alla ricerca della sua felicità, vivendo nell’arco narrativo del film il suo piccolo, personale romanzo di formazione, quasi di affrancamento mi viene da dire, rimanendo sempre fedele ad una sua personalissima, compassionevole e struggente poetica sentimentale.
Come avete costruito il personaggio con Paolo Virzì?
Con Paolo abbiamo lavorato soprattutto sulla tenerezza; sulla libertà di esibire la propria fragilità, sul suo stare sempre nel qui ed ora, ma anche sul dolore. Quella di Sabry è una comunicazione non filtrata, istintiva, bambinesca: Sabbry dice quello che pensa, nel suo modo, che è sicuramente colorito. E’ diventata una star del web, ma la sua ricerca di visibilità non ha a che vedere con la platea dei suoi followers, ma piuttosto con il bisogno disperato di essere vista e riconosciuta da chi le sta vicino, dalla sua famiglia.
Del resto in tutto il cinema di Virzì - e proprio Ferie d’agosto da questo punto di vista è un titolo eloquente – anche i personaggi negativi si colorano di sfumature non bidimensionali…
Proprio così. La grandezza di Paolo, tra la moltitudine dei suoi mille talenti, consiste proprio nel riuscire a comporre la stratificazione di sentimenti umani che anima ciascuno di noi, mescolando la commedia e la tragedia dell’essere umano, con compassione e tenerezza. Perché è capace di penetrare dentro l’animo del personaggio e dell’attore che lo interpreta, suonando tante corde quante sono quelle dei suoi “pupazzetti”, come li definisce lui. Tutti gli elementi di questa galleria umana, di questo coro greco che si muove in modo dialettico e musicale sulla scena, partono proprio da lì.
Un altro ferragosto è un titolo molto atteso, perché il film da cui è ricavato, Ferie d’agosto, fu una sorta di gioioso affresco socio-antropologico sull’Italia del berlusconismo incipiente: da un lato la famiglia semplice, rozza e tendenzialmente di destra legittimata ad alzare la testa dalla discesa in campo di Berlusconi e dall’altra l’intellighèntzia di sinistra incapace di capire fino in fondo la realtà nel suo mutarsi. Che Italia racconta, invece, il sequel?
Un’Italia sicuramente più divisa e frammentata, anche all’interno della stessa compagine familiare, che non si riconosce, non si identifica più in un ideale, in un “leader”, ma in cui ciascuno lotta contro se stesso e contro i propri fantasmi, cercando di barcamenarsi tra disillusioni e nuovi desideri. È un film sul tempo che passa, ma anche sulla vita che nasce, e che forse saprà custodire la memoria storica di questo Paese meglio di quanto la nostra generazione sia riuscita a fare. Ad accentuarsi è probabilmente l’incomunicabilità. Ma è soprattutto un racconto, una storia, un romanzo familiare costruito sull’alternanza di tutti i punti di vista dei personaggi che lo compongono.
È il paese che è peggiorato o è lo sguardo dell’autore ad essersi fatto più fosco?
Il cinema di Paolo credo nasca dall’urgenza di raccontare, come dicevo, di raccontare una storia a tutti. A seconda del proprio vissuto, della propria giornata (come raccontava oggi uno spettatore in sala durante la presentazione del film), della propria sensibilità, ogni spettatore coglierà un aspetto diverso del film, ma lui ce li mette tutti gli strati. Un altro ferragosto è una lucida e appassionata fotografia del qui e ora, in questa storia che è, certamente, anche la storia dell’Italia, attraverso la poetica cinematografica del suo regista; non leggo l’intento di aderire ad una visione piuttosto che ad un'altra. Credo piuttosto che Paolo si porti dentro un po’ di tutti i suoi coreuti, o personaggi. O quasi. Anche perché, e questo è un mio personalissimo parere, non credo abbia più senso parlare della dicotomia politica che forse c’era 30 anni fa: credo sia stata superata per lasciare spazio a qualcosa di più inquietante, che ha che vedere con la perdita dell’umanità.
Dopo Un altro Ferragosto, Anna Ferraioli Ravel torna in sala il 4 aprile con Zamora, il debutto dietro la macchina da presa di Neri Marcorè.