La quattordicesima domenica del tempo ordinario, arriva su Sky. L'intervista a Pupi Avati
Cinema ©GettyArriva su Sky l'ultimo film diretto e scritto da Pupi Avati, con Gabriele Lavia, Edwige Fenech, Massimo Lopez, Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo, Nick Russo, Fabrizio Buompastore e Cesare Bocci. Distribuito da Vision Distribution, la pellicola sarà disponibile l’11 ottobre 2023 alle 21.15 su Sky Cinema Due (alle 21.45 anche su Sky Cinema Romance), in streaming su NOW e disponibile on demand
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Sarebbe forse un po' troppo scontato parlando del maestro Pupi Avati, prendere a prestito Cicerone quando nel De Senectute – manifesto senza tempo dell’arte di saper invecchiare – sostiene che "non con le forze, non con la prestezza e l'agilità del corpo si fanno le grandi cose, ma col senno, con l'autorità, col pensiero". Di sicuro non è deviante l'accostamento vista l’autorevolezza autoriale che il regista bolognese si è guadagnato nel corso della sua lunga carriera con più di 50 film all’attivo. Cosa che del resto si ritrova (e non poteva essere altrimenti) nel suo ultimo lavoro “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” (disponibile l’11 ottobre 2023 alle 21.15 su Sky Cinema Due (alle 21.45 anche su Sky Cinema Romance), in streaming su NOW e disponibile on demand). Un film al limite dell’ “Auto da fé” in cui sono miscelati sapientemente passato e presente del regista, ricordi personali e toni amari e nostalgici di una commedia che fa della sincerità la sua principale chiave di lettura.
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Il Cast e la trama del film
La pellicola che vede tra i protagonisti Gabriele Lavia, Edwige Fenech, Massimo Lopez, Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo, Nick Russo e Cesare Bocci è ambientato nella Bologna degli anni '70: Marzio, Samuele e Sandra sono giovanissimi e ognuno ha un suo sogno da realizzare. La musica, la moda, forse la carriera. I due ragazzi, amici per la pelle, fondano il gruppo musicale "I Leggenda" e sognano il successo. Sandra è un fiore di bellezza e aspira a diventare indossatrice. Qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, Marzio sposa Sandra mentre Samuele suona l’organo. Quella ‘quattordicesima domenica’ diventa il titolo di una loro canzone, la sola da loro incisa, la sola ad essere diffusa da qualche radio locale. Poi, negli anni Novanta, quando tutto sembra loro possibile, si appalesa all’improvviso una rovinosa tempesta che spazzerà ogni illusione. Ritroveremo i protagonisti 35 anni dopo: cosa è stato delle loro vite, dei loro rapporti? Ma soprattutto cosa ne è stato dei loro sogni?
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L'intervista
La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un titolo decisamente insolito
La quattordicesima domenica del tempo ordinario secondo l’anno liturgico è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento e per me è il giorno in cui mi sono sposato il 27 giugno 1964. Ho cominciato a pensare a questo titolo già oltre 15 anni fa quando, raggiunta la settantina, ho iniziato una doverosa riflessione sul percorso che avevo alle spalle.
Con questa pellicola cosa voleva raccontare?
Volevo raccontare come in fondo siamo tutti dei falliti. Come alla fine del percorso della propria vita e in generale di tutti quanti noi, si ha come la netta sensazione che i sogni che avevi fatto fin da quando eri ragazzino non si sono realizzati. E il mio racconto inizia proprio in un posto di Bologna: un chiosco di gelati realmente esistito e che da piccolo frequentavo anche io, apparentemente magico in cui davvero si aveva le percezioni che tutto era possibile. Poi ho immaginato il trascorrere del tempo, una coppia separata che si rincontra dopo 35 anni e che fa i conti con l’intero loro percorso. E quel lento riavvicinarsi mettendo sul piatto gioie, dolori, delusioni ma anche la voglia di fare l’ultimo pezzo della vita insieme. Credo che il condividere la cosiddetta terza età, questa stagione così complicata della propria vita con qualcuno che ti conosca e che ti stia accanto possa rappresentare un sollievo non indifferente.
Mi può raccontare il personaggio di Marzio che è poi quello in cui lei si sofferma di più?
Non ho reticenze nel dire che mi assomiglia molto. Un perdente ma che non ha smesso di sognare ad occhi aperti pensando di rimettere in piedi il duo “I Leggenda”. Anche se nella sua carriera musicale aveva inciso soltanto un singolo di successo. Marzio vive da anziano questa profonda delusione, non ha una vita privata, portando avanti un’esistenza in cui le ferite non si sono mai rimarginate. Ma non si arrende e questa è la sua forza. Quando andrà a cantare la sua canzone in un'orrida tv di paese pubblicizzando prodotti locali riceverà come paga dei buoni pasto con cui inviterà la sua Sandra a cena in una trattoria dove litigherà senza motivo con un ragazzo che poi lo stenderà subito al tappeto. Vive in un mondo per cui non riesce ad abbandonare la sua illusione. Devo fare un plauso al grande Gabriele Lavia per la sua interpretazione ma non voglio dimenticare tutto il resto del cast: da Edvige Fenech che, come ha lei stessa dichiarato, aspettava un ruolo così da più di vent’anni. A Lodo Guenzi che conoscevo solo come cantante del gruppo de “Lo stato sociale” e a Massimo Lopez, nel suo primo ruolo drammatico.
Ad un certo punto del suo film, Sandra, il personaggio interpretato da Edwige Fenech, dice a Marzio: “Sei entrato in un'età difficile dalla quale un po’ ci si vergogna e dalla quale tutti si aspettano che prima o poi ci si arrenda." Lei che rapporto ha con il trascorrere del tempo e con la “vecchiezza”?
Mi fa piacere che lei abbia colto, tra i tanti dialoghi nel film, proprio questa frase. Perché rivela che ha compreso che dietro questa storia ci sono realmente io, nella quasi totalità. Nel senso che solo una persona anziana può scrivere una cosa così. Oggi, essere vecchi significa sentirsi in colpa. Una colpa di cui vergognarsi un po’. La sensazione che avverto che la maggior parte delle persone che incontro si sorprendono di vederti ancora presente. La cosa poi si aggrava nel momento in cui ritieni di essere in grado ancora di lavorare.
Nel suo film appare importante anche la figura del padre di Marzio, interpretato dal bravissimo Cesare Bocci
Anche qui non faccio mistero che questo personaggio immaginato è realmente mio padre che ho perso per un incidente quando avevo soltanto a 12 anni e lui 42. Fu un rapporto brevissimo e di lui mi ricordo che era un uomo bellissimo, pieno di carisma e di fascino, di una grandissima simpatia e che soprattutto faceva ridere le donne. Lei sa che gli uomini che fanno ridere le donne le conquistano tutte, eh?
Nel corso della mia esistenza la sua mancanza è stata in un certo qual modo sopita da mia madre che è stata un genitore accogliente che ha fatto di tutto per non farmela avvertire. Adesso che mi ritrovo in questa fase crepuscolare della mia vita, mi manca molto il confronto con mio padre. Vorrei potergli dire che ce l’ho fatta. Che ho realizzato più di 50 film e che in fondo me la sono cavata abbastanza bene.
Un’altra presenza importante in questo suo film è Bologna. Che rapporto ha con la sua città natale, oggi?
Ho avuto nella mia vita un rapporto altalenante con Bologna. Lì ci sono le mie radici, la mia giovinezza, li è nata la mia voglia di emergere, le amicizie e le conoscenze che hanno segnato la mia esistenza. Volevo fare il musicista ma in una città così provinciale come era allora Bologna era difficile emergere. Ricordo che quando decisi di fare il regista la gente mi rideva dietro bollandomi come un illuso. Ora da lontano e con l’avanzare degli anni la guardo con affetto e riconoscenza anche se per me è difficile riconoscerla. Pensi che per Gli amici del bar Margherita ho preferito girare molte scene del film sotto i portici di Cuneo, meglio tenuti e integri rispetto a quelli di Bologna.