Sam Worthington ha raccontato di quando ha letto per la prima volta lo script di Avatar

Cinema

Manuel Santangelo

L’attore australiano ricorda la grande sorpresa provata quando si è immerso per la prima volta nel mondo immaginato da James Cameron

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Quando Avatar uscì tutti ricordiamo la portata dell’evento. Entrare in sala ed immergersi nell’universo di Pandora fu un’esperienza straordinaria per la maggior parte di noi. Lo spettatore al cinema finiva per essere contagiato da una genuina meraviglia quando si trovava ad ammirare l’avvenieristica tecnica con cui si creava da zero un intero mondo. Oggi, a distanza di tredici anni, il protagonista di quel kolossal Sam Worthington confessa di aver provato la stessa fanciullesca sorpresa degli spettatori anche solo leggendo le pagine della sceneggiatura.

Cose mai viste

Dal 22 settembre Avatar tornerà nelle sale in una nuova veste più scintillante che mai, un evento che farà da viatico all’atteso sequel, atteso per meta dicembre. C’è però qualcuno che ricorda quando il film era solo un visionario progetto da immaginare a occhi chiusi, Sam Worthington. Nel film l’attore interpreta l’ex marine Jake Sully in missione sul pianeta Pandora, un luogo magico che, quando l’attore ricevette la sceneggiatura, era solo nella testa del grande regista James Cameron. Worthington ha ricordato che la domanda che si poneva più spesso leggendo quelle pagine di script era: “Come realizzeremo tutto questo?”. Alcune parti addirittura gli parlavano di idee talmente astratte da lasciarlo confuso: “Quando lessi per la prima volta la sceneggiatura c’erano cose come le montagne fluttuanti, i Thanator, tutte robe di cui non avevo idea, non capivo di cosa stesse parlando quell’uomo”. La sensazione di trovarsi in un mondo nuovo, senza avere le coordinate necessarie ad orientarsi, non abbandonò il cast neanche al momento dell’inizio delle riprese: “Il mio più grande ricordo legato al ritrovarmi in quel teatro di posa era la giocosità, perché era quella l’atmosfera leggera in cui abbiamo fatto tutto. C’era Jim (Cameron) che ogni giorno arrivava sul set e diceva: ‘Guarda, farò costruire una cosa che diventerà la montagna sospesa, e ho bisogno che tu salti da lì. Poi arriveranno delle persone ad attaccarti, saranno sostituite poi da dei Viperlupi’”. Se Worthington non ha fatto troppe domande e si è lasciato trasportare dalla fantasia del regista è anche perché, nonostante tutte le invenzioni, alla base la storia di Avatar era e resta tuttora una favola universale: “Credo che questa sia la storia di un ragazzo che va su un altro pianeta a cercare qualcosa. A cercare di appartenere a qualcosa. A Pandora trova alla fine ciò che anelava in un’altra cultura di cui lui non sapeva nulla”.

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Dove eravamo rimasti?

Girare Avatar richiedeva agli attori uno sforzo unico: bisognava tornare bambini e giocare con l’immaginazione, fingere che davanti a sé si avesse una montagna anche quando non c’era nulla davanti che gli assomigliasse. La co-protagonista femminile del film Zoe Saldana ricorda quell’esperienza usando parole non troppo diverse da quelle del collega: “Ogni volta che mettevo piede in questo grosso teatro grigio e sterile in cui si gelava, con addosso una specie di pigiama, ecco che Jim era pronto a seguirmi con la sua cinepresa. È stato un gioco, come dice Sam, perché la mia immaginazione non è mai stata tanto sconfinata come quando lavoravo a quel film. L’ultima volta che l’avevo usata tanto era stato da bambina”.

Oggi però che senso ha riproporre quel lavoro straordinario? Non si rischia di perdere tutto il fascino che si porta dietro, riproponendolo ora che la tecnologia ha fatto passi avanti notevoli? James Cameron pensa che la risposta a questa domanda sia un secco no. “Ora che abbiamo rimasterizzato Avatar in 4K, in alta gamma dinamica e in alcune sezioni del film a 48 fotogrammi al secondo, è più bello di quanto non sia mai stato. Chiunque abbia meno di 22 anni ed è diventato fan del film, lo ha scoperto fuori dai cinema ed averlo guardato così è come non averlo visto”, sostiene il regista. Il ritorno a Pandora a tredici anni di distanza è quindi un’esperienza imperdibile per chi già c’era ma soprattutto per chi allora non aveva ancora l’età giusta per apprezzarla a pieno. La sensazione è che certi film aiutino a ricordare cosa sia la magia del cinema più di mille saggi, anche ad anni di distanza. Ben vengano nelle nostre sale.

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