10 motivi per celebrare il Far East Film Festival 2022

Cinema

di Federico Buffa e Michele Pettene

Si è da poco concluso, lo scorso 30 aprile, la ventesima edizione del Far East Film Festival di Udine, la più grande vetrina occidentale dedicata al cinema popolare asiatico. Tanti i film presentati all'interno del Teatro Nuovo Giovanni di Udine, vero e proprio avamposto asiatico con proiezioni che difficilmente appariranno sui grandi schermi europei. Ecco 10 motivi per cui è valsa la pena esserci

Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Mai come quest’anno è essenziale iniziare dalla location fisica della 24ma edizione del Far East Film Festival. Dopo i due anni di “esilio da Covid” – il 2020 integralmente online, il 2021 ibrido tra streaming e Cinema Visionario – il festival di cinema asiatico più importante d’Europa è tornato nel suo sfavillante quartier generale, il teatro da 1174 posti nel centro storico del capoluogo friulano che, dagli albori del Nuovo Millennio, è diventato sempre più un riferimento internazionale per il Cinema e l’industria cinematografica d’Oriente.

Gli ormai leggendari organizzatori del FEFF – Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, orgogliosi autoctoni – avevano pensato le cose in grande per l’atteso ritorno a casa, con il Giglio d’Oro alla carriera da consegnare a quello che sarebbe stato uno dei più grandi ospiti di sempre, Takeshi Kitano. Sfortunatamente logistica e tensioni geopolitiche hanno visto sfumare la presenza del Maestro giapponese, premiato comunque in diretta streaming Venerdì 29 Aprile di fronte a una platea entusiasta, da sold out: una partecipazione che non ha sorpreso i veterani di uno degli appuntamenti più affascinanti e imperdibili per i fan di tutto il mondo, con i numeri pronti a dimostrarlo.

10- I Am a FarEaster

Tra i 72 film proposti (13 prime mondiali, 11 prime europee), 15 nazioni coinvolte, 40mila biglietti strappati, 70 ospiti, 250 professionisti del settore e 10mila spettatori online collegati da 24 nazioni si può dire con confortante certezza che – Kitano o meno – il FEFF 2022 sia stato un meraviglioso successo, dentro e fuori le mura dei cinema udinesi che hanno accolto i 42 film in competizione, le retrospettive su Manila e Taiwan e i fuori concorso. Rivedere i “FarEasters” – riconoscibili dal viola degli accrediti, più di 1300 – in fila per entrare a teatro, immersi nel gioioso caos dei banchetti di libri, delle degustazioni di sakè e negli stand cittadini a tema e, last but not least, lanciarsi nelle lunghe standing ovation al termine dei film è stato un toccasana di cui il FEFF, il pubblico e pure noi avevamo bisogno. “I Am a FarEaster!” – il fortunato slogan coniato per fidelizzare gli spettatori – è diventato un grido liberatorio, unanime, collettivo.

9- Applausi malesiani

Una prova definitiva del virtuoso spirito di questo festival si è avuta alla proiezione serale di Lunedì 25 Aprile dell’action-movie malese “The Assistant”: la pirotecnica (auto)presentazione sul palco del regista Adrian Teh e degli attori prima della proiezione – guidati sempre dall’adrenalinica Baracetti – e la recitazione eccessiva, surreale, lisergica andata in scena subito dopo ha scatenato una delle ovazioni più sentite e festose di tutta la kermesse, nonostante una sceneggiatura traballante e un finale “molto Fight Club” un po’ troppo a sorpresa. Ma la connection pubblico-cast prima e durante i combattimenti dei protagonisti un po’ psicopatici e un po’ ingenui nella più classica delle sanguinolente revenge-story in salsa orientale è stata più forte di ogni cosa, quasi un ringraziamento spontaneo per aver attraversato mezzo pianeta, a prescindere da tutto.

8- Il sostegno a Hong Kong

Applausi sì ma per altri motivi per i film della cinematografia orientale più amata da queste parti sin dalle origini e dal primo memorabile ospite del 1998, Johnnie To: che Hong Kong stia forzatamente attraversando un periodo di crisi sul piano culturale e non solo non è una novità, ma il cuore dei fan si è stretto di fronte alle commedie e agli action tanto spettacolari quanto innocui proposti a questo FEFF. La legge per la sicurezza nazionale aggiornata nel 2021 ha generato una censura senza precedenti recenti, con divieti assoluti sulle immagini delle famigerate proteste di piazza del 2019, e la pandemia non ha di certo aiutato. Bravi gli organizzatori a scovare comunque opere delicate e toccanti come “Sunshine of My Life” di Judy Chu e “The First Girl I Loved” di Candy Ng e Yeung Chiu-Hoi, mentre lo storico cavallo di battaglia – il cinema d’azione – è stato ben rappresentato dalla storia vera di un rapinatore in “Caught In Time” di Lau Ho-leung.

7- Superguest

Proprio da Hong Kong arrivavano due tra le ospiti più attese di quest’edizione, l’attrice Stephy Tang e la vulcanica regista-artista-influencer Josie Ho – vista pure ballare nel dietro le quinte con gli organizzatori –, presente sullo schermo con uno dei film più profondi, il documentario “Finding Bliss: Fire and Ice” sulla “ricerca della felicità” di alcuni artisti locali in una vacanza islandese terapeutica. La Tang, ispiratissima nel look e nella verve durante le presentazioni, ha portato invece due protagoniste molto diverse tra loro, tra il melodramma molto tossico in dodici atti “Twelve Days” della regista Aubrey Lam, ritornata ad esplorare la crisi di coppia dopo il successo di “Twelve Nights” del 2000, e “Table For Six” di Sunny Chan, un lontano ma altrettanto riuscito cugino del nostro “Perfetti Sconosciuti” che mescolava triangoli amorosi, il fondamentale valore della fratellanza e l’immancabile problema immobiliare nella moderna metropoli ormai de facto (sigh) cinese.

6- Omaggi

Per preparare il pubblico al grande incontro con Takeshi Kitano il festival – oltre al capolavoro di Beat Takeshi del 1993 “Sonatine” – ha proiettato un inedito documentario sul regista del Sol Levante – “Citizen K” di Yves Montmayeur – abile nel raccontare con interviste e ricostruzioni tutto il lungo percorso della vita e della carriera del comico, attore, pittore oltre che regista, in un ampio ritratto anti-convenzionale e ribelle che, ironicamente, è stato confermato per l’ennesima volta anche dallo spiacevole scherzetto dell’ultima ora.

Ancor più significativo e interessante l’altro documentario (di P.A. Vincent) su un Maestro del cinema giapponese, quel Satoshi Kon che, nonostante la morte prematura a 46 anni, con soli 4 lungometraggi d’animazione e una serie tv di culto ha segnato per sempre l’industria locale e ispirato decine di registi in tutto il mondo.

5- My Small Land

Da due maestri del passato recente al presente più attuale, il Giappone ha certificato anche al FEFF 2022 il proprio stato di grazia artistico, mostrando al pubblico i tanti volti del suo Cinema e, di riflesso, della sua società. Ha stupito per la rarità del tema trattato e riscosso ampi consensi il dramma adolescenziale “My Small Land” di Emma Kawawada su una famiglia di immigrati curdi cui viene respinta la richiesta di asilo in quella che vorrebbe essere la patria mondiale dell’ospitalità. Un lato nascosto e ipocrita di una nazione che continua a coltivare sentimenti contrastanti sulla vita di comunità e sul senso di colpa collettivo, messi alla gogna dal corrosivo thriller “Noise” di Hiroki Ryuichi, lento e inesorabile come una calda giornata di metà Agosto. 

4- L’anno del Giappone

Non è un caso che proprio dal Giappone sia arrivato il premio per la Miglior Sceneggiatura (un nuovo riconoscimento del FEFF) in una stagione cinematografica mondiale dove Ryusuke Hamaguchi con “Drive My Car” (Oscar 2022) e “La Ruota della Fortuna e della Fantasia” ha settato nuovi standard per il cinema drammatico e romantico contemporanei: “Love Nonetheless” di Jojo Hideo sembra riproporre gli stessi silenzi, la stessa attenzione alle sfumature dei dialoghi e dei rapporti di coppia di questi due capolavori, con due relazioni – una in divenire, l’altra in crisi – ad intrecciarsi, scoppiare e ritrasformarsi all’interno di una fluidità, sensibilità e originalità narrativa capace di sorprendere chiunque, da Oriente a Occidente.

3- Fuochi d’artificio cinesi

“Hi, Mom” di Jia Ling non avrà vinto al FEFF 2022 ma potrà vantare per parecchio tempo l’invidiabile record del botteghino più ricco di sempre per una regista: al viaggio nel tempo di una figlia, bocciata a scuola, per salvare la madre da un incidente futuro il pubblico di Udine ha preferito però la scoppiettante e irresistibile commedia “Too Cool to Kill” di Xing Wenxiong, una sorta di omaggio al cinema occidentale (c’è di tutto, persino il Mariachi di Robert Rodriguez) in un’opera metacinematografica dove uno scapestrato attore-comparsa viene ingannato dalla vera mafia locale mentre è convinto di trovarsi nel primo film da protagonista della sua carriera. Un premio che ha ricordato molto quel “Zombie contro Zombie” del 2018, poi diventato un clamoroso successo, mentre merita una menzione la prima produzione italo-cinese, “The Italian Recipe” di Hou Zuxin, commedia romantica ambientata a Roma che ha aperto il festival.

2- Ritornare alla polvere

Per il Dragone Rosso sul podio anche il drammone “Return to Dust” di Li Ruijun, già ammirato quest’anno a Berlino e premiato anche dagli accreditati Black Dragon, gli hardcore-fan del FEFF: un capolavoro autentico sulla morente cultura contadina in una Cina dove, per la prima volta da 5000 anni, i giovani non vogliono più vivere con gli anziani. Una confezione e una riflessione drammatica sulle periferie cinesi povere e dimenticate, e una piccola storia d’amore che tenta faticosamente di scrollarsi di dosso la polvere di una condizione sociale opprimente e degradante.

1- Il dominio della Corea del Sud

Ancora una volta però a trionfare è stato un film sudcoreano, come già tante volte era successo nel passato del Far East: “Miracle: Letters to the President” di Lee Jang-hoon – dramma strappalacrime su genialità e redenzione legato alla costruzione di una stazione ferroviaria di un paesotto di provincia – non è stato forse all’altezza degli illustri predecessori ma rimane un prodotto di eccelsa qualità sul lato tecnico e attoriale, a cui forse alcuni avrebbero preferito il dramma storico-politico di Byun Sung-hyun “Kingmaker”, premiato dagli spettatori di MyMovies e superiore per pathos e narrazione. Ma non è finita qui: tra l’adrenalinico action tutto al femminile e underground “Special Delivery” che ha fatto sembrare “Baby Driver” una passeggiata, i due super-thriller neo-noir “The Killer” e “Tomb of the River” capitanati dalla superstar Jang Hyuk, violentissimo e psicopatico, e il solito Hwang Jung-min in un action (“Hostage: Missing Celebrity”) che sa molto di metacinema e paure personali, il cinema sudcoreano ha riaffermato a chiare lettere che, nonostante i lockdown, i suoi protagonisti non sono inferiori a nessuno.

Un concetto sublimato da “The Apartment with Two Women”, per noi tra i migliori di questo FEFF: la cupa relazione iper-tossica tra una madre disturbata e una figlia incapace di emanciparsi in una Seul povera e crudele non poteva essere descritta meglio, in un estenuante travaglio emotivo composto con profondità e lucidità da una regista “solo” esordiente, Kim Se-in. Chapeau.

Spettacolo: Per te