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Notre-Dame in fiamme, la recensione del film in prima tv su Sky

Cinema sky cinema

Alessio Accardo

Un intenso racconto del drammatico incendio che ha colpito la cattedrale parigina e del coraggio degli uomini e delle donne che hanno lottato per fermare le fiamme. In onda su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand, in occasione del terzo anniversario dell’incendio 

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A tre anni  dal giorno in cui un terribile incendio distrusse la cattedrale simbolo di Parigi ,(era il 15 aprile del 2019) arriva su Sky, e in streaming su NOW, Notre-Dame in fiamme di Jean-Jacques Annaud, kolossal francese girato in IMAX. Prodotto dalla Pathè di Jerome Seydoux e TF1 Film Production assieme alla italiana Wildside, società del gruppo Fremantle, e distribuito da Vision distribution.

“Ciò che mi ha motivato a fare il film è che la storia si è conclusa con un lieto fine: nessun morto, la cattedrale è ancora in piedi, tutti i tesori sono stati salvati, e ora ci sono tanti soldi per ricostruirla ancora meglio di come si sarebbe potuto fare se non fosse scoppiato questo incendio.” Con queste parole il regista francese Jean-Jacques Annaud - celeberrimo anche oltre confine per aver diretto opere monumentali come Il nome della rosa, L’orso, L’amante e Sette anni in Tibet – ha spiegato ai microfoni di “100x100 cinema” le ragioni per le quali ha deciso di accettare questa sfida, e ha aggiunto: “nel dirigere il film, non mi sono allontanato più di tanto dalla cronaca dei fatti, perché si sono svolti come in un thriller. La realtà si è dimostrata più appassionante di qualunque invenzione cinematografica.”

Proprio secondo i canoni cinematografici del thriller catastrofico è raccontata la storia vera dell’incendio che il 15 aprile del 2019 ha rischiato di divorare la Cattedrale di Notre-Dame, il principale luogo di culto cattolico di Parigi. Un suspense-movie in cui lo spettatore è costantemente portato a domandarsi come andrà a finire la storia, pur essendo la fine nota; un film francesissimo costruito come fosse un prodotto di genere hollywoodiano, con tanto di happy-end. Una pellicola ibrida in cui coesistono entrambe le anime enunciate nella citazione del regista: metà “docu-drama” documentaristico con tanto di Presidente Macron come special-guest e metà “disaster-movie” hollywoodiano stile Inferno di cristallo; uno dei filoni più prolifici nell’ambito del genere avventuroso americano, con titoli immortali che vanno da Armageddon a Independence Day, da La guerra dei mondi a The day after tomorrow, da Deepwater - Inferno sull'oceano a Boston - Caccia all'uomo.

Ricalcando gli stilemi di questi instant-movie con Mark Whalberg, Annaud decide di raccontare le 24 ore che precedono la mattina del 16 aprile 2019, quando le fiamme sulla cattedrale di Notre-Dame hanno smesso di bruciare, adottando uno stile cronachistico corredato da una serie di didascalie recanti il timing dei fatti. 

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Jean-Jacques Annaud a Sky Tg24 con "Notre-Dame in fiamme". VIDEO

Dopo la citazione in esergo di un aforisma dello scrittore italo-francese Antoine Rivaroli, “tutto è vero senza che nulla sembri verosimile”, a ribadire i concetti di cui sopra; Annaud ci trasporta subito in “medias res” nella cattedrale per antonomasia di Parigi, già cantata dall’autore dei I miserabili Victor Hugo nell’omonimo romanzo Notre Dame de Paris. Il regista de Il nome della rosa ci immerge in questo santuario della cristianità grazie all’uso di una proteiforme molteplicità iconografica: immagini documentarie, acqueforti e litografie del monumento più famoso di Parigi dopo la Tour Eiffel; o “il monumento più visitato al mondo”, come scandiscono le svariate guide internazionali che istruiscono i turisti assiepati dentro la chiesa.

La prima didascalia dà la stura alla cronistoria dell’evento: un corto circuito causato dall’impianto elettronico attivato alle 18:15 del 15 aprile dall’impianto per far suonare le campane, durante la Messa del Lunedì Santo del 2019. Alle 18.17 scatta l’allarme: “Allarme incendio, sottotetto navata sagrestia”, dice uno dei gli addetti alla sicurezza, che però è un neoassunto molto poco esperto. Il suo collega, accorso sul posto, lo considera un falso allarme, perché il sistema è difettoso da anni. Peccato che un controcampo del film s’incarichi di informarci che le sue parole sono fallaci: su una delle guglie della cattedrale si è alzato un pinnacolo di fumo nero, mentre nella navata della chiesa il coro sta placidamente intonando l’Ave Maria di Schubert, e una flebile voce si limita ad annunciare che a causa di un incidente si deve chiudere la Cattedrale.

Il counter continua a scorrere implacabilmente: sono le 18.42 quando il secondo addetto alla sicurezza, appesantito dagli anni e menomato dall’asma, corre trafelato verso l’innesco dell’incendio, compiendo il primo di una serie di errori esiziali: si dirige verso il sottotetto della sacrestia, mentre il fuoco sta divampando nel sottotetto della navata principale. Nel frattempo, monsignori, chierici e sagrestani sembrano preoccuparsi soprattutto di non turbare il normale svolgimento delle funzioni religiose; e fuori dall’edificio, ormai fumante, torme di turisti garruli seguitano a farsi scioccamente dei selfie. Quando si accorgono del dramma, come in un aberrante riflesso pavloviano, non sanno far altro che seguitare a fotografare macchinalmente il monumento in fiamme.

Soltanto alle 18.45 – come ci informa ancora una volta una didascalia a pieno schermo – ovvero 28 minuti dopo l’inizio dell’incendio, vengono allertati i pompieri. Ma anche lì, anziché allarmarsi, essi pensano a un amico burlone o a un fotomontaggio. Un po’ come accade in Don’t look up, il recente film con Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence: nella società dell’immagine imperante, in questa enorme bolla mediatica in cui siamo tutti imprigionati, la realtà non riesce a fare breccia neanche quando ha l’aspetto di un dramma imminente; a vincere è sempre la superficie luccicante e inoffensiva della sua rappresentazione (nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, direbbe Walter Benjamin). Anche nell’ufficio del sindaco è l’incredulità ad avere la meglio. E se proprio si deve pensare al peggio, si evoca il pericolo islamico.

Solo alle 18.51 - al 26° del primo tempo - entrano in scena i veri protagonisti della storia e del film: i pompieri della Caserma di Poissy (e poi anche quelli della Caserma del castello di Versailles), avvisati con notevole ritardo. Eroi ed eroine, perché tra i vigli del fuoco che si vestono per provare a placare l’incendio ci sono anche diverse donne. E degli “absolute beginner” al loro primo incendio. È qui – dopo trenta minuti dal primo innesco – che Annaud decide di utilizzare un linguaggio da “cinèma-veritè”, un elemento para-documentaristico: introduce le vere immagini documentarie dell’incendio, inserendole sul grande schermo grazie all’espediente dello split-screen.

Alle 19.00 circa cominciano a piovere cenere e detriti dal cielo come neanche nell’11 settembre. E quando dal palazzo dell’Eliseo appare il vero Emmanuele Macron bisbigliare a bassa voce, e col volto terreo, qualcosa come “Mi recherò sul posto non appena possibile”, fatte le debite differenze, pare quasi di rivedere il George W. Bush che in Fahrenheit 9/11 di Michael Moore assiste impotente alla tragedia delle Twin Towers. E proprio come nella tragedia americana, anche qui gli eroi sono i pompieri (ricordate World Trade Center di Oliver Stone?), eroi senza nome che il regista di Juvisy-sur-Orge decide di far interpretare non a caso da attori sconosciuti

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Distribuite meticolosamente le coordinate spazio-temporali della vicenda, Annaud comincia quindi a far leva sulla retorica da “civil servants” dei vigili del fuoco, incaricati dello spegnimento dell’incendio: “Sai quanti pompieri vorrebbero essere al posto tuo!?!” viene gridato alla giovane recluta incaricata di compiere una mission impossible tra il transetto e le lingue di fuoco; e quello ci va senza paura. Storie più vere del vero direbbe Rivaroli, che hanno incantato il non credente Annaud, colpito dalla fede laica di questi ragazzi disposti a tutto in nome di una vocazione quasi religiosa.

Per rendere l’affabulazione più avvincente, nel disastro generale il regista decide di seguire la sorte di una sola persona, l’intendente della cattedrale Laurent Prades che è in possesso della chiave per aprire la teca in cui è custodita la Corona di spine di Cristo. Da quel momento in poi sembra che non conti nient’altro che salvare quella preziosa reliquia, che diventa sineddoche dei tesori custoditi nella chiesta e per certi versi una “pars pro toto” di tutta Notre-Dame.

Dopo un’ora di racconto cinematografico, che è anche cronaca puntuale degli eventi, la materia si surriscalda: la furia distruttrice del fuoco divampa fino a mischiarsi mostruosamente con le architetture gotiche della Cattedrale, dalle bocche dei gargoyle cominciano a scorrere fiumi di piombo fuso. Quindi le spettacolari scene di devastazione degli interni della navata, il cui gigantismo rimanda agli evergreen del cinema catastrofico di cui si è già detto. A quel punto l’eco del dramma diventa internazionale: il disastro viene riproiettato dagli schermi televisivi dei cinque continenti, in quasi tutte le lingue del mondo. Finché non appare persino il ciuffo rosso di Donald Trump che si interroga se non si il caso di far intervenire i Canadair.

Infine, l’happy end di cui parlava Annaud, qui ribadito dalle parole esultati di un cronista: “nessuna vittima nessun ferito e tutte le opere messe in salvo. Notre dame di Parigi è ancora in piedi.” È cinema ma sembra vita vera, e viceversa.

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