The Challenge, come è stato girato il primo film nello spazio

Cinema
Immagine tratta dal profilo Instagram @juliaperesild

Girare un film nello spazio, il sogno di Klim Shipenko, il primo regista nella storia a girare un film a gravità zero a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

The Challenge è il primo film ad essere girato nello spazio; un lavoro incredibile che potrebbe aprire le porte a un nuovo modo di fare cinema sempre più realistico.

Di recente Deadline ha intervistato Klim Shipenko il regista di The Challenge e Yulia Peresild, attrice protagonista, che hanno raccontato di come la vita e il lavoro sulla Stazione Spaziale Internazionale siano stati una vera e propria sfida ma che, alla fine, potrebbero portare a un cambiamento epocale nella storia del cinema.

Come è nato il progetto di The Challenge?

Il progetto di The Challenge è nato da un’idea di Konstantin Ernst, CEO della rete televisiva russa Channel One. L’idea, ovviamente, era quella di girare un film nello spazio ma essendo consapevole dei rischi e delle difficoltà di questo progetto, l’ha tenuto “nascosto” per circa venti anni, fino a quando non ha chiesto aiuto a Klim Shipenko.

Anche la scelta del regista non è stata casuale dato che lo stesso Shipenko ha lavorato a un film dal titolo Salyut-7, che racconta la storia di due cosmonauti che nel 1985 sono riusciti a recuperare e a rimettere in funzione una stazione spaziale.

Chiaramente tra realtà e finzione c’è una bella differenza ma il sogno di realizzare un film nello spazio è stato più forte di tutto il resto, portando quindi alla nascita di The Challenge.

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Come si può girare un film nello spazio?

Ovviamente per poter girare nello spazio oltre alle competenze cinematografiche e attoriali c’è stato bisogno anche di un corso accelerato per potersi qualificare per il volo. Una procedura di addestramento complessa che spinge le persone ai limiti delle proprie capacità, proprio perché sopravvivere in un ambiente tanto diverso dalla Terra è davvero un’esperienza al limite.

Klim Shipenko e Yulia Peresild hanno avuto quattro mesi per prepararsi e per preparare tutti gli strumenti necessari per poter girare nello spazio; chiaramente a questo punto i dubbi sono stati molti perché girare in un ambiente mai visto prima e con tutte le incognite del caso (tipo l’assenza di gravità) non è la cosa più semplice del mondo e quattro mesi sono davvero un tempo limitato.

E infatti, girare nello spazio è una cosa totalmente diversa: pensiamo ai movimenti che possono essere fatti “semplicemente” lasciando fluttuare la macchina da presa. Se questo permette movimenti completamente inediti, dall’altra parte comporta anche attenzioni che sul nostro pianeta non sono necessarie.

Altro problema è la luce: sulla ISS ogni 40 minuti c’è un tramonto e subito dopo l’alba, quindi bisogna scandire alla perfezione il tempo delle riprese per non avere “giochi di luce” fastidiosi o poco adatti alle riprese.

Oltretutto si deve lavorare anche con un troupe ridotta, al punto che il regista e l’attrice stessa hanno dovuto ricoprire più ruoli come quello della truccatrice, dell’addetto alle luci e via dicendo.

Girare in quattro dimensioni?

Una delle parti più interessanti dell’intervista su Deadline riguarda il cambio di prospettiva a cui si va incontro: “Non puoi capire pienamente finché non vai lassù, perché ti cambia completamente la mentalità: il pavimento diventa il soffitto e viceversa. È quasi un mondo a quattro dimensioni lassù, il che ti dà molta più scelta nel posizionare gli attori […]. Mi sono reso conto delle limitazioni che ci sono nel girare a terra, persino per i film ad alto budget che possono permettersi molti stunt con i cavi. Nello spazio, ho dovuto abituare la mente a questa realtà a quattro dimensioni”.

The Challenge è il primo film ad essere girato nello spazio ma potrebbe non essere l’ultimo. Di recente, infatti, Tom Cruise ha confermato di essere a lavoro su un progetto da oltre 200 milioni di dollari che coinvolge la NASA, SpaceX e la Universal.

Questo potrebbe essere il futuro del cinema e, se la settima arte lo richiedesse, la nuova normalità con registi e attori che tornerebbero ad esplorare l’inesplorato, come quando qualcuno ebbe l’idea che fosse possibile proiettare su un telo bianco immagini in movimento.

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