In gara come unico film italiano nel concorso internazionale alla 74/a edizione del Festival di Locarno (4 - 14 agosto), “I Giganti” del regista sardo verrà proiettato oggi in prima mondiale
Dopo il successo di “Perfidia” nel 2014, il regista sassarese torna a Locarno alla conquista del prestigioso Pardo D’Oro: “Sono felicissimo di essere qui ed è per me una conferma. Andarci una volta è una cosa, andarci una seconda è ancora più difficile, sono molto orgoglioso”. Unico film italiano in concorso nella sezione internazionale, I Giganti, prodotto e interpretato dallo stesso Angius per Il Monello Film, vede tra i protagonisti Stefano Deffenu, Riccardo Bombagi e i fratelli Michele e Stefano Manca; nel cast Francesca Niedda, Noemi Medas, Roberta Passaghe e la piccola figlia d’arte Mila Angius. Una rimpatriata tra vecchi amici in una dimora dimenticata da Dio mostra le fragilità dei rapporti umani attraverso la rabbia, il dolore, il cinismo e una violenza tanto nascosta quanto evidente, subdola e premeditata.
L’opera nasce inizialmente come film sostitutivo a un altro progetto, che per via del periodo storico che abbiamo vissuto, e ancora in corso, si è dovuto fermare. “Non mi sono arreso, ho pensato a un film che avesse un impianto produttivo più accessibile alle restrizioni del caso e si sviluppasse in un unico ambiente, con pochi personaggi. Ho iniziato a scrivere di getto la sceneggiatura, in un mese era pronta, nel frattempo facevamo il casting e il mese successivo stavamo già girando. Il film è nato tutto in modo istintivo e naturale”. Nonostante la pellicola non sia un film sulla pandemia, “aleggia la presenza di qualcosa di distopico, un alone nostalgico e al contempo di dolore, di morte, di disperazione, legato al passato dei personaggi del film, che risulta però profondamente attuale, legato al presente”.
I Giganti di Angius è anche una commovente lettera d’amore a un cinema dimenticato che l’autore ha voluto scrivere con sincera gratitudine (“il cinema si è fatto vivo ancora una volta per salvarmi. Mi ha dato la forza di sorridere, di gioire e di essere consapevole che la parola fine non può essere scritta, anche se siamo a terra e pensiamo di non poterci più rialzare”). Dal sapore western e frutto di una libertà assoluta mai sperimentata prima, il film si fa estensione stessa dell’autore attraverso cui parlare al mondo e mostrare sullo schermo “ciò che è”. E che per sua stessa natura non può, né deve essere spiegato, come la vita stessa.
Che effetto fa ritrovarsi a Locarno per la seconda volta?
E’ una grande gioia tornare dopo sette anni come unica pellicola italiana in concorso, Locarno è un festival speciale in cui il cinema è veramente al centro di tutto quindi per me, portare questo film in questo festival è la situazione perfetta. Sono felicissimo di essere qua ed è per me una conferma, andarci una volta è una cosa, andarci una seconda è ancora più difficile. Sono molto orgoglioso. I Giganti è un film che vuole essere a tutti i costi cinema, ed è un cinema che non è mai dovuto scendere a compromessi.
Il progetto è nato in sostituzione di un altro arenatosi per via della pandemia.
Sì, abbiamo dovuto interrompere la preparazione di un film, ma non volevamo arrenderci. Ho cercato un soggetto che avesse un impianto geografico ambientato in pochi ambienti, con pochi personaggi, ho iniziato a pensare a quelli che erano stati i grandi film ambientati in un solo ambiente, come la Grande Abbuffata di Marco Ferrari, e partendo da un’idea abbozzata molti anni fa, ho iniziato a scrivere di getto la sceneggiatura, scritta molto rapidamente, a differenza di altri film dalla gestazione molto lunga. I Giganti è stato un grande regalo, tutti gli autori di un certo tipo hanno sempre paura che la loro idea principale possa invecchiare, io in un mese l’ho scritta, nel frattempo facevamo il casting e il mese successivo stavamo già girando, il film mi ha regalato una libertà creatività totale.
Ne I Giganti hai ricoperto più ruoli, regista, sceneggiatore (in stretta collaborazione con Stefano Deffenu), direttore della fotografia, montatore, produttore e co-protagonista: è stato liberatorio e/o catartico recitare il tuo ruolo?
Inizialmente per il mio ruolo cercavo un altro attore, ma quando mi sono trovato a immaginarlo interpretato da un altro, ho cambiato idea. Prima di riuscire a spiegarne la complessità, visti i tempi stretti, ho pensato che avrei fatto meglio a farlo io. Non mi sono reso conto se sia stato liberatorio o catartico, mi sono lasciato andare e sono riuscito a ricoprire più ruoli, non so nemmeno io come. Forse perché il film è figlio di una libertà assoluta, non mi era mai successo, era come se fosse tutto una mia estensione, era come se stessi suonando anche se non sono un musicista. Mi sono sentito in un certo senso posseduto da un’entità sovrannaturale che mi faceva reagire istintivamente, nella recitazione, nella scelta della luce, in tutto.
I protagonisti sono pieni di rabbia, dolore, e al tempo stesso appaiono disperatamente fragili, impotenti. Sono senza speranza?
Non lo so se sono senza speranza (è un termine che non mi appartiene), sicuramente non sono inconsapevoli, hanno una lucidità estrema e questa lucidità non li porta a essere dei personaggi stupidi, sono tutti molto lucidi e consapevoli di trovarsi in un limbo, di vivere una vita che non ha grandi cose da offrirgli, in un certo senso, se mai una speranza l’hanno avuta, l’hanno perduta, non solo nei confronti del mondo, ma di loro stessi. Io li vedo fragili ma consci.
Il titolo del film evoca I Giganti di Mont'e Prama, come nasce?
Sì, e in una scena vengono anche citati, inizialmente il titolo è stato scelto in contrapposizione alla statura dei personaggi che rappresento e che possono sembrare indifesi, fragili e molto piccoli, ma in realtà ripensandoci meglio, la loro statura non è poi così piccola. A seconda di come si guarda al film potrebbero sembrare sì dei giganti. E forse lo sono.
Quanto i dialoghi del film sono frutto della sceneggiatura e quanto dell’improvvisazione?
Solitamente non tendo a improvvisare quanto scritto in fase di sceneggiatura, ma in alcune scene de I Giganti è stato necessario, parlo per esempio del risveglio in cui si balla il mambo e del dialogo tra me (Massimo) e Michele Manca (Andrea) dopo un’intera notte di bisboccia. Lì c’è molta improvvisazione anche se lo scheletro era già impostato dovevamo lasciarci andare completamente, era d’obbligo reagire d’istinto.
Come mai hai scelto di citare proprio un verso di La nuvola in calzoni di Majakovskij?
Mi ricordavo Majakovskij recitato da Carmelo Bene e ho scelto quel brano e quei versi, ma potevano essere anche degli altri, non c’è nessuna dietrologia. Questo film ha molto a che fare col teatro, ci sono momenti che potrebbero essere delle pièce teatrali, in particolare la scena in cui tutti gli attori guardano al cielo, quella sequenza unica lunghissima, se venisse trasposta a teatro sarebbe pressoché la stessa.
Il film fa pensare a Pasolini e al suo concetto di cinema della crudeltà, ovvero di “film che esprimano una rivolta esistenziale irrazionale, violenta, fisica”. Ti ritrovi in queste parole?
No, non lo so e non ho mai pensato a questo. I Giganti è un film è veramente figlio di se stesso, quando realizzo una pellicola, guardo ai film del passato, ma non riesco a fare troppe teorie citando altri autori. In quest'opera c’è la rappresentazione estrema di esseri umani che nel buio del loro ingorgo si rendono conto che la vita non è niente e realizzano la loro totale inutilità. A questa si aggiunge la loro autodistruzione che è propria del genere umano. Mi fanno ridere quelli che criticano le persone per la loro attitudine autodistruttiva, se pensiamo alla storia dell’umanità nella sua interezza, il caos che governa la massa ha sempre avuto come tendenza l’autodistruzione.
“Ci sono persone che dicono di fare una cosa e poi ne fanno un’altra”, queste le parole di Stefano Deffenu che aprono il film: che epoca è questa in cui viviamo?
Viviamo in un’epoca in cui le parole hanno sempre meno riscontro con i fatti, è tutta una buona intenzione, ma manca l’azione, nel mondo contemporaneo sono tutti buoni. A me sembra che la narrazione vada verso un bene fasullo e si distanzi da quelli che sono poi i comportamenti: forse è questa la chiave del film. Trovo difficile fare delle riflessioni sulle singole azioni dei protagonisti. Questo è un film che rimane lì nello schermo come una creatura a se stante, molto complessa, sofferente ma anche molto chiara e sincera.