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Massimo Troisi, 27 anni fa la morte. Un vuoto incolmabile, a livello artistico e umano

Cinema

Camilla Sernagiotto

©Getty

Scomparso prematuramente a soli 41 anni il giorno dopo aver finito le riprese del film "Il postino", l'attore ha lasciato un vuoto incolmabile nel cinema italiano. E nei cuori di tutti noi, che lo abbiamo amato come uno di famiglia. Perché il suo talento e la sua innata vis comica gli hanno permesso di uscire da quello schermo, creando un'empatia unica. Nel giorno dell'anniversario della sua morte, ricordiamo un vero genio che se ne è andato troppo presto

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Oggi purtroppo si celebra un anniversario tristissimo, quello della scomparsa di Massimo Troisi. Sono passati 27 anni dalla sua morte, avvenuta il 4 giugno 1994. L'attore aveva soltanto 41 anni ed è spirato il giorno dopo aver finito le riprese del ultimo film, Il postino.

La sua dipartita ha lasciato un vuoto incolmabile nel cinema nostrano. E non soltanto nella settima arte: lo stesso vuoto è quello nei cuori del pubblico che tanto ha amato Troisi.


Nato a San Giorgio a Cremano, appena fuori Napoli in una periferia di campagna disastrata, quest'uomo ha combattuto contro lo sfavore del destino, uscendone vincitore. Chiaramente parliamo a livello di carriera, non a livello di vita perché purtroppo, dal punto di esistenziale, il destino crudele ha avuto la meglio su di lui.
Ma nonostante sia spirato così giovane, l'attore è riuscito a fare davvero tanto nella sua breve vita.


Cresciuto in una famiglia allargata composta da cinque fratelli, i genitori, due nonni e cinque nipoti, Massimo è riuscito a rendere il suo cognome uno dei più grandi blasoni partenopei. La sua arte lo ha incoronato se non a "Principe della risata" (quel titolo è ancora detenuto da Totò) perlomeno a "Baronetto".

Una risata intelligente, sommessa e non stupidamente sonora: la risata che l'arte insuperabile di Massimo Troisi suscita è frutto di un ragionamento, di un pensiero, di un cervello indissolubilmente legato a un cuore. Intelligenza e sentimento puri, con messaggi importanti che parlano di umiltà, fierezza, amore per la vita e per se stessi che lui è riuscito a mutuare attraverso l'arma più potente che esista al mondo: la genuinità.

Le cause della morte

Fin dalla giovinezza Massimo Troisi ha sofferto di febbre reumatica che negli anni gli ha causato uno scompenso cardiaco alla valvola mitralica. Proprio questo scompenso è ciò che gli è risultato fatale quel disgraziato 4 giugno di 27 anni fa.
Erano trascorse appena dodici ore dalla fine del suo film considerato, con il senno di poi, un vero e proprio testamento.
È spirato nel sonno a Ostia, ospite a casa di sua sorella Annamaria da cui sarebbe dovuto restare per riposarsi dopo la fatica di una produzione molto impegnativa, così impegnativa che le sue condizioni di salute già precarie gli avrebbero dovuto impedire di affrontare.

Ma la sua arte era per lui importante come la sua vita. Perché la sua arte era la sua vita, una vera e propria vocazione. E alla vocazione non si comanda. Non usiamo stavolta il tipico detto al cuore non si comanda perché purtroppo è stato proprio quello a portarci via uno dei nomi più indimenticabili del nostro schermo.


Ricordiamo che Troisi ha scritto anche 'O ssaje comme fa 'o core, una poesia messa in musica dall'amico Pino Daniele che allude sia ai problemi al cuore (sia dell'attore sia dell'amico musicista) sia al cuore inteso come organo principe del romanticismo. 

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Troisi rassegnato ad affrontare il suo destino

Poco prima del ciak d'inizio de Il postino, Massimo Troisi era tornato negli Stati Uniti dal chirurgo che già prima l'aveva operato al cuore, quando era molto giovane.

 

Era conscio del fatto che affrontare un set così difficile come quello del suo ultimo film era alquanto pericoloso, con il doppio impegno dell'ideazione e dell'interpretazione (ricordiamo però che ha lasciato la cinepresa a Michael Radford, per poter arrivare alla fine delle riprese). Tuttavia la possibilità di avere Philippe Noiret nei panni di Neruda ha fatto sì che Troisi decidesse di tentare di sfidare il destino.

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Il "Pulcinella senza maschera"

Il segreto del successo di Massimo Troisi è stato indubbiamente la sua genuinità. Un ingrediente rarissimo da trovare, in generale sulla faccia della terra e in particolare nel mondo dello spettacolo, dove tutto è apparenza che inganna. Proprio per deformazione professionale.

Eppure Troisi ha scardinato le regole di quel sistema, inaugurando un'inedita maschera partenopea che in realtà è un volto vero.
Un "Pulcinella senza maschera" che fin da subito, a partire dal suo esordio del 1981 con il film Ricomincio da tre, è stato qualcosa di assolutamente inedito nella storia sia del teatro sia del cinema internazionali.
Citiamo il teatro in quanto Troisi è considerato l'erede di Eduardo De Filippo, perfetto interprete a cui il maestro ha passato il testimone di una napoletanità che ride e piange assieme. Di se stessa, innanzitutto.

Assieme al gruppo artistico "I Saraceni" e poi con i colleghi Lello Arena ed Enzo Decaro de "La Smorfia", Troisi è riuscito a fare il grande salto, passando dal paese  al Paese: da quello con la p minuscola è passato all'Italia, portando il suo vernacolo sulle reti nazionali. Un vernacolo che è riuscito a disciplinare e a rendere comprensibile a tutti, come prima di lui era successo con Eduardo e Totò.


Il suo napoletano è così diventato un "grammelot" che chiunque capiva al volo, una lingua che andava oltre le parole, oltre i gesti e oltre le espressioni facciali. La lingua di Troisi è diventata la lingua anti-finzione, alla faccia della sua professione in cui fingere è proprio il segreto. Ebbene, siamo qui a ricordare con le lacrime agli occhi quest'uomo proprio perché lo si definisce uomo prima che attore.

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L'accoppiata vincente con Roberto Benigni

Nel 1984 uscì il film Non ci resta che piangere e da quel momento il successo di Massimo Troisi esplose letteralmente. Molta della accoglienza calorosissima del pubblico la si deve anche all'accoppiata vincente tra lui e Roberto Benigni, collega con cui trovò un'immediata empatia istintiva.

Anche il suo secondo film da regista e attore, Scusate il ritardo del 1983, è stato molto apprezzato, specialmente dalla critica.
Per i suoi film si è spesso servito della collaborazione della sceneggiatrice Anna Pavignano, a cui era legato sia a livello artistico sia sul piano affettivo.

Della sua filmografia ci sarebbe da citare tutto, da Le vie del Signore sono finite (1987) a Pensavo fosse amore... e invece era un calesse (1991).

A Ettore Scola spetta il merito di averne intuito le potenzialità da attore-autore, scegliendolo come maschera di Pulcinella che dialoga con Marcello Mastroianni in persona nel film Il viaggio di Capitan Feacassa del 1990.

Da Che ora è? (per cui Troisi vinse una Coppa Volpi alla mostra di Venezia) a Splendor, in così poco tempo quest'uomo è riuscito a vivere innumerevoli vite sui set. Sempre rimanendo se stesso.

E dai David ai Nastri d'argento, una pioggia di premi si è riversata su Massimo Troisi durante la sua carriera.
A livello postumo, Il postino ricevete quattro nomination agli Oscar nel 1996, di cui fu vinta la statuetta per la colonna sonora di Luis Bacalov. Massimo fu nominato per il premio al miglior attore protagonista e alla miglior sceneggiatura non originale.

La grandezza di Massimo Troisi è irripetibile. Ci sarà da aspettare che si reincarni. Solo allora non ci resterà che piangere (dal ridere) di nuovo.

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