Lei mi parla ancora, Renato Pozzetto in un'immortale storia d'amore diretta da Avati
Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri, il film Sky Original è una commovente ed emozionante cronaca di una passione che supera gli oceani del tempo.
Disponibile on demand su Sky Cinema e in streaming su NOW TV
“In virtù della musica le passioni godono di se stesse”, così scriveva Friedrich Wilhelm Nietzsche. Un aforisma che vale per tutte le creazioni nate sotto il segno della musa Euterpe. Pure per le canzonette, quelle “che più sono stupide, più sono vere”, per citare le parole della Signora della porta accanto, immortalata da Truffaut. Sicché risulta suggestivo ed efficace che il nuovo film di Pupi Avati, inizi sulle note di “Malagueña salerosa”, la celebre hit messicana nella versione dei Radioboys. Il noto gruppo vocale di Torino è il coro perfetto per sottolineare una storia d’amore nata negli anni Cinquanta e destinata a durare per sempre.
Perché Lei mi parla ancora è una elegia dell’eternità, un inno ai sentimenti imperituri, agli affetti perpetui, alle relazioni scolpite nel marmo, ai matrimoni durati 65 anni.
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"Lei mi parla ancora” di Pupi Avati esordisce su Sky Cinema con quasi 400 mila spettatori medi
Con la consueta grazia, sfuggendo le pastoie del bozzettismo, Avati dipinge con i colori della nostalgia, l’affresco di un amore più forte della morte. E risulta, per certi versi, rivoluzionario avere il coraggio di parlare di passioni immortali in tempi effimeri, instabili, labili, transitori come quelli in cui viviamo oggi. La precarietà non si addice agli sguardi che si scambiano Nino e Caterina, sugli sfondi agresti di Ro Ferrarese, mentre sullo schermo scorrono le immagini del Settimo Sigillo di Ingmar Bergman. Scorrono pure le immagini del Polesine e della grande alluvione del Po. E se Eraclito scriveva che “non ci può bagnare due volte nello stesso fiume”, Avati ci ricorda che puoi essere innamorato di una sola persona per tutta la vita.
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Lei Mi Parla Ancora, Pupi Avati: "Racconto la nostalgia del presente"
C’è tanta letteratura in Lei Mi parla ancora. E soprattutto molta poesia: da Il tramonto della luna di Leopardi, a L’assuolo di Pascoli, versi che si trasfigurano in gioco di citazioni durante una seduta di pesca. D’altronde il film è tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi. Ed è proprio attraverso la parola scritta che cerca di riportare in vita la propria moglie defunta, come se quel flusso ininterrotto di frasi che si susseguono l’un l'altra, abbia il potere di poter tornare ad animare chi non c’è più. E al disincantato ghostwriter, all’ aspirante romanziere perso a raccontare le vite degli altri spetta il compito di dare voci al fantasma d’amore. Un aspirante romanziere, la cui esistenza è una manifestazione di insicurezza e instabilità, ma che infine comprenderà il senso dei dialoghi con Leucò scritti da Cesare Pavese, ovvero “L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.
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"Lei mi parla ancora", Renato Pozzetto nel nuovo film di Pupi Avati
Passato e presente giocano a rimpiattino in Lei mi parla ancora. Un tempo circolare alberga nel film. Ed è sempre complesso mostrare e far interagire gli stessi personaggi, nelle diverse fasi della sua vita, interpretati da attori. Si rischia di risultare artificiali, stucchevoli, velleitari. Al solito, la differenza la fa la regia e la scelta dei protagonisti.
Nessuno sa raccontare così in profondità l’Italia degli anni Cinquanta, anche con poche, efficaci sequenze, come Pupi Avati. Per sua stessa ammissione, il regista non flirta molto con la modernità. Non a caso la parte ambientata ai giorni nostri e stata scritta dal figlio Tommaso. Tuttavia i due mondi si parlano, sfumano uno nell’altro. Cosi diversi, cosi uguali, gli attori scelti risultano assolutamente azzerati. A partire da Renato Pozzetto. Per la prima volta in ruolo totalmente drammatico (anche se in film come Io sono fotogenico ad esempio, la malinconia traspariva, eccome) l’attore risulta dolente, senza mai essere patetico. Un uomo d’altri tempi, circondato dalla bellezza, tra statue e quadri del Guercino, a cui Renato dona ogni tanto quella sua surreale vis comica che è il marchio di fabbrica del suo smisurato talento. Assolutamente credibile Lino Musella, con quei suoi tratti vintage e quell’innata timidezza, al pari di Isabella Ragonese a cui spettava il compito molto arduo di interpretare una Giovane Stefania Sandrelli.
Fabrizio Gifuni incarna alla perfezione la modernità, con tutte sue miserie e le sue angosce, che irrompe in quella dimora della bassa padana fuori dal tempo. Felice pure la scelta di Chiara Caselli, che correttamente rinuncia alla corriva imitazione di Elisabetta Sgarbi, per offrirci un personaggio mai sopra le righe e quella del cast di contorno dalla materna Serena Grandi a Gioele Dix, sino ad Alessandro Haber.
Insomma, Lei mi parla ancora è un invito al sogno, ad abbracciare l’assoluto, in questi attimi sempre più fragili e sovente vuoti. La magia dell’arte ci insegna che l’assenza può trasformarsi in presenza. Così in un localino di Stienta, ballare abbracciati un lento è un modo di aprire un portale sull’infinito. E le note di “Non partir” di Fred Buscaglione diventano la formula magica per amarsi per sempre. Il cinema è memoria e sullo schermo si può essere Immortali in tutti i luoghi e in tutte le stagioni