Abbiamo intervistato l’attore romano che dirige e interpreta Il Grande Salto, struggente commedia in prima tv su Sky Cinema Uno giovedì 28 maggio.
Giorgio Tirabassi: da attore a regista
È una tentazione a cui pochi attori sanno rinunciare, ovvero passare dietro la macchina da presa e autodirigersi. Ma spesso essere contemporaneamente registi e protagonisti sullo schermo risulta un’operazione complicata e sovente l’esito non è esaltante. Ma non è questo il caso di Giorgio Tirabassi, interprete di fiction di grande successo come “Distretto di polizia” e “Liberi tutti” e di film come “La pecora nera” per il quale ha vinto il David Di Donatello come miglior attore non protagonista, l’attore dopo il bellissimo cortometraggio “Non dire Gatto”, ha scelto di debuttare nel lungometraggio con Il Grande Salto. Si tratta di una commedia riuscita, intensa che rimanda alla stagione d’oro del cinema italiano in cui il dolce e l’amaro si fondono insieme.
Come è nata l’idea di esordire al cinema come regista?
Non è stata una scelta improvvisa. Dopo il corto “Non dire Gatto”, avevo voglia di misurarmi con il lungometraggio. Cercavo l’idea giusta e poi, come spesso accade, mi sono accorto di averla sotto mano. Nel senso che a teatro recitavo dei monologhi e uno di questi era Le avventure di Nello e Rufetto, rapinatori che sognano il colpo della vita. Ecco, Il Grande Salto prende ispirazione proprio da questo mio testo teatrale.
Avevi già in mente Ricky Memphis come co-protagonista?
Sì, non ho mai avuto nessun dubbio. Era da tempo che volevo fare un film insieme a Ricky. E quindi con Mattia Torre e Daniele Costantini ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura. Certo, poi per trasformarla in un film ci abbiamo messo anni perché abbiamo avuto una serie di impedimenti, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e sono molto contento del risultato finale.
Nello e Rufetto, i due protagonisti di Il Grande Salto, sono personaggi di fantasia o ti sei ispirato a qualcuno di reale?
Si tratta di un ‘esasperazione di alcune tipologie umane. A teatro avevano una cifra stilistica più surreale. Passando al cinema, abbiamo riveduto i toni per rendere la vicenda più credibile. In questo modo il film ha un lato amaro che mi piace molto e che lo distingue da altre pellicole del genere.
In effetti nel film si respirano le atmosfere del periodo d’oro della commedia all’Italiana.
Si perché sono personaggi disgraziati a cui vuoi bene. Sono discendenti di quel tipo di cinema. Sono le figure su cui si è formato il nostro senso dell’umorismo.
C’è stata una sequenza di Il Grande Salto particolarmente difficile da girare?
Direi quella finale ambientata sulla spiaggia. L’abbiamo girata con una steadycam e una macchina a spalla, quindi è stato complesso coordinare i movimenti. E poi è una scena in cui sia io, sia Ricky eravamo molto coinvolti emotivamente. Ci abbiamo lavorato mezza giornata. Alla fine eravamo esausti, ma tutti contenti del risultato.
Come è nato il coinvolgimento di Lillo, Valerio Mastandrea e Marco Giallini che ci offrono tre cameo di pregio?
I ruoli erano piccoli. In questi casi o si utilizzano dei generici, oppure ti rivolgi a degli attori con cui hai un rapporto di amicizia, Io ho preferito rivolgermi a Lillo, Mastandrea e Giallini che oltre a essere miei amici sono degli straordinari professionisti e tutto è andato alla perfezione.
Il Grande Salto vede la presenza di Mattia Torre tra gli autori dello script. Che rapporto avevi con questo grande artista, purtroppo scomparso?
Ci conoscevamo da 20 anni. Eravamo amici. Abbiamo lavorato insieme a teatro e nella serie Boris. Condividevamo lo stesso senso dell’umorismo.
Come mai hai scelto di usare nel film la canzone dei Ricchi e Poveri Che Sarà?
L’ho utilizzata come contrappunto comico. In quel momento Nello e Rufetto sono pieni di ottimismo e convinti di farcela, ma poi arriva il classico fulmine a ciel sereno, mentre i Ricchi e Poveri cantano” Che sarà che sarà che sarà? /Che sarà della mia vita chi lo sa? /So far tutto o forse niente/Da domani si vedrà/E sarà, sarà quel che sarà”
Nella tua carriera hai interpretato eroi come Paolo Borsellino e avvocati malandrini come Michele Venturi, l’avvocato di Liberi tutti. Preferisci recitare la parte del buono e del cattivo?
In realtà, non ho mai vestito i panni di un personaggio totalmente negativo. Anche in Liberi tutti, Michele, che ricorda il Glauco Moretti non è una persona priva di qualità. In generale amo i lestofanti dotati di ironia. Certo i buoni entrano subito in empatia con lo spettatore. E poi per chi fa il mio lavoro è molto gratificante poter interpretare uomini della caratura di Paolo Borsellino o Libero Grassi. Sono ruoli che ti fanno crescere non solo come attore.
Che rapporto hai con Roma, la tua città?
Assolutamente viscerale. Ci sono nato e cresciuto. Sono romano da generazioni. Di Roma amo la storia, la cultura, le poesie, le canzoni. Adoro Trilussa, Gioacchino Bellini, Pascarella. Ho fatto un disco intitolato “Come te posso ama'", dedicato alla tradizione popolare romanesca.
L'infarto che ti ha colpito il primo novembre del 2019 è, per fortuna. un lontano ricordo.
Si, non ne parlo molto volentieri. E’ passato. Conservo solo il grande affetto ricevuto dalla gente e dai colleghi.
Come vedi il futuro del cinema dopo l’emergenza coronavirus? (AGGIORNAMENTI - SPECIALE - LA MAPPA)
Il cinema nel corso della sua storia ha attraversato diverse crisi, certo, mai di questa portata. Credo però che l’amore per la sala cinematografica non tramonterà mai.
I Tuoi progetti futuri?
Dovrebbe uscire prima o poi Freaks Out di Gabriele Mainetti. Prima del lockdown eravamo in procinto di presentare Nonostante la nebbia, il nuovo film di Goran Paskaljević. Sul fronte televisivo invece si parla di una seconda stagione di Liberi Tutti. Come regista, invece, sto ancora cercano una storia convincente.