120 battiti al minuto contro la tragedia dell’Aids

Cinema
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Appuntamento, in prima tv, sabato 1° dicembre alle 21.00 su Sky Cinema Cult - Vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2017 e giudicato  miglior film della 43ª edizione dei Cesar, i premi più importanti del cinema francese,  il film si ispira alla storia vera che racconta la nascita dell’organizzazione di attivisti Act Up.  La pellicola è stata scritta e diretta dal regista francese Robin Campillo

È stata una vera guerra che ha causato la morte, dagli anni '90 ad oggi, di 42 milioni di persone e che ancora dura, visto che attualmente nel mondo ci sono 36 milioni di sieropositivi. E a questa guerra, ancora in corso, Robin Campillo ha dedicato 120 battiti al minuto, film già passato al Festival di Cannes dove ha vinto il Gran Prix della Giuria e anche trionfatore, in qualità di miglior film ai Cesar 2018, gli Oscar del cinema francese.

Una pellicola (in prima tv, sabato 1° dicembre alle 21.00 su Sky Cinema Cult), che racconta in 114 minuti l'azione dei militanti di Act Up-Paris negli anni '90 contro l’indifferenza del governo, inattivo sul piano delle campagne di prevenzione, contro il cinismo delle aziende farmaceutiche e le ricerche biomediche segrete. E poi i blitz nelle scuole, per far conoscere ai ragazzi i rischi delle pratiche irresponsabili, le questioni di comunicazione, in un tempo in cui l’informazione passava essenzialmente per le TV e i giornali. E infine le storie personali, gli amori, il sesso e la paura, la malattia, lo spettro quotidiano della morte.

Insomma l'affresco corale di un'epoca, un puzzle di voci molto coinvolgente che finisce per avvolgere lo spettatore senza pietismo, anche quando le scene diventano intime, si trasferiscono in camera da letto (molto sesso gay ma niente vouyerismo) o in ospedale. E il cast è formidabile: una classe di giovani attori francesi, a cominciare da Adele Haenel (già protagonista della Fille inconnue dei Dardenne) e Arnaud Valois, capaci di recitare con estrema naturalezza secondo uno stile proprio di una certa generazione di cinema d'oltralpe che ha proprio Cantet tra i maestri.

Robin Campillo ha vissuto quegli anni da attivista, membro di Act Up dal 1992. ''Sono stato un'attivista anch'io in quegli anni, un militante dell'associazione Act Up Paris, mi è capitato di ritrovarmi a vestire per il funerale un amico morto di Aids e avevo anche pensato di realizzarne un film, ma ero solo un giovane montatore e ho avuto paura. Ma sono stati anni cruciali della mia vita ed ora moltissimi anni dopo ho trovato il coraggio di ripercorrere quegli anni - ha avuto modo di dire Robin Campillo - senza per questo voler fare un documentario ma proprio un film di finzione seppure con storie assolutamente ispirate ai fatti accaduti". Non c’è volutamente, come ha sempre sottolineato il regista, un'atmosfera d'epoca da film in costume, "l'ho pensato con un linguaggio legato al tempo che viviamo, comprensibile, non mi sono preoccupato come accade per i film in costume, di abiti e dettagli precisi. Volevo piuttosto che la storia della mutua solidarietà di questi giovani negli anni in cui ogni giorno era prezioso perché' era il tempo dell'epidemia dell'Aids, ci raccontasse una storia di amicizia, di fraternità, di uguaglianza'". Gli attori sono stati molti liberi di improvvisare: "avevamo tre camere in scena e seguivamo il cast da varie angolature così da non dover loro indicare le posizioni e dare la massima libertà di movimento", ha spiegato il regista che ha preparato i suoi interpreti con materiali d'epoca, libri, video. "Erano anni di rabbia, sentivi di non avere speranze, l'Aids era ora e tu rischiavi di morire e lottavi contro l'indifferenza di chi ti lasciava morire. C'erano alcune associazioni, parenti delle vittime, infermieri, ma Act Up ha significato altro, un movimento politico, un collettivo di lotta di una minoranza", che in 120 battiti al minuto riesce a sovrapporre il piano collettivo con le storie personali in un modo del tutto coinvolgente e con uno stile naturalistico dove tutto si intreccia: rabbia, gioia, amore, disperazione".

Una nota particolare riguardo al film va data alla colonna sonora, Infatti i 120 battiti al minuto non sono soltanto quelli legati alla narrazione della storia raccontata dalla pellicola, ma rappresentano anche quelli del tempo musicale: i cosiddetti 120 bpm ben noti a chi ha amato e chi apprezza ancora l’house music. Questo particolare genere musicale, infatti, molto in voga nel periodo in cui è ambientato il film, aiuta ad inquadrare al meglio la narrazione: Non posso fare a meno di pensare che la house music e il suo carattere insieme festoso e sinistro sia perfetta per fare da colonna sonora a quella stagione” ha detto sempre lo stesso Campillo”, regalandoci attraverso questa musica, un tassello importante per capire quegli anni e la tragedia legata all’Aids.

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